Nugae – Momenti di trascurabile felicità

Nei momenti di particolare tensione e preoccupazione c’è una medicina che aiuta a stare meglio, un rimedio naturale senza effetti collaterali che l’universo e la letteratura hanno messo a disposizione dell’uomo. Si tratta di tutti quei brevi istanti che punteggiano le giornate, quei quadretti d’impercettibile poesia, quelle vicende minuscole della vita quotidiana che per un motivo o per un altro strappano un sorriso. Trovarli può sembrare difficilissimo perché nella serena regolarità passano quasi inosservati. Ma in realtà quando tutto è grigio si manifestano in modo spontaneo, perché a un cuore in pena sembrano cose enormi. Si gode per davvero con un piacere profondo e genuino delle piccole gioie della vita di tutti i giorni. Orazio lo chiamava carpe diem (in questo senso cogli l’attimo, non “evviva, viviamo come se non ci fosse un domani” come a volte fa comodo interpretare), Francesco Piccolo li definisce efficacemente momenti di trascurabile felicità. Anche l’ebraismo ne fornisce tanti. I pranzi di shabbat con tutta la famiglia a casa della nonna che si trasformano senza accorgersene in un infinito pomeriggio di partite a carte, quando in viaggio si fa amicizia con una coetanea e si scopre casualmente di essere cugine, e quando davanti al Colosseo si incontra un gruppo di turisti israeliani e pieni di entusiasmo e si cerca di ascoltare quello che dicono anche se non si capisce una parola di ebraico. Quando al seder di Pesach il braccio fa male ma non si vuole lo stesso rinunciare a stare appoggiati sul gomito, perché insomma si può solo stasera, e quando otto giorni dopo la festa finisce e si va al ristorante, si ordina con emozione la pizza che ovviamente non arriva mai e poi quando finalmente si dà il primo morso ci si accorge che in fondo è sempre la stessa cosa, non ha un altro sapore, ma l’anno dopo riscoprirlo sarà una delusione lo stesso. Momenti di trascurabile ebraicità.

Francesca Matalon, studentessa di lettere antiche – twitter @MatalonF