Cortei

Mi sembra che non sia stato adeguatamente commentato quello che mi pare un fenomeno particolarmente triste, inquietante e pericoloso dei tempi che stiamo vivendo, ossia il dilagare dell’antisemitismo-antisionismo (anche nelle sue forme più estreme e volgari, dagli striscioni invocanti la distruzione di Israele alle bandiere bruciate alle invettive contro le sinagoghe) nei cortei studenteschi. Episodi che tornano a ripetersi con cadenza ormai automatica, ogni volta che i giovani muovono in marcia su temi che nessuno sa quanto c’entrino con gli ebrei e Israele: la crisi economica, lo stato sociale, le tasse universitarie, la disoccupazione. Spesso a urlare con la faccia feroce contro i luoghi di culto ebraici sono ragazzi di quindici, quattordici, tredici anni, che si premurano di uscire da casa con grandi bandiere palestinesi nascoste negli zaini, da cacciare e sventolare con rabbia una volta raggiunti i covi dell’odiato nemico. È un rito che sta prendendo sempre più piede, tanto che è ormai raro assistere a un corteo studentesco, organizzato per qualsiasi motivazione, privo di esibizioni di aggressività anti-israeliana e/o antisemita. Al punto che le autorità della Comunità ebraica romana hanno dovuto valutare se chiedere ufficialmente alla Prefettura che il Tempio maggiore sia sempre tenuto lontano dai percorsi dei cortei studenteschi. Che giorno triste per la democrazia, la civiltà italiana sarà quello in cui ciò dovrà accadere. Triste, tristissimo.
Minoranze, si dirà. Ma minoranze da cui mai, proprio mai, le maggioranze sembrano prendere minimamente le distanze. E che non risultano mai stigmatizzate da nessun politico, né di destra né di sinistra, nessun intellettuale, nessun uomo di Chiesa. Le uniche occasioni in cui si sentono delle critiche sono gli episodi di violenza fisica, se ci sono le vetrine rotte o auto sfasciate, altrimenti niente. Anzi, la mobilitazione studentesca è sempre presentata come un fenomeno positivo, un segno di partecipazione e di vivacità giovanile. I giovani sono “la generazione tradita”, ma finalmente “si sono svegliati”, “si fanno sentire”, “si riappropriano del loro futuro” ecc. Quante volte abbiamo letto o sentito queste frasi? E, quanto alle loro intemperanze, si legge spesso che i ragazzi sfogano la loro rabbia contro i “simboli del potere”: le sedi del Parlamento, del governo, le banche… E le sinagoghe.
Sarebbe bene che tutti, grandi e piccoli, andassero a ripassarsi un po’ di storia. Ricorderebbero, così, o apprenderebbero, che non sempre, nella storia, le masse riversatesi per strada sono state portatrici di valori di civiltà. Che non c’è regime dittatoriale, oscurantista o sanguinario, del presente o del passato, che non abbia fatto leva sull’entusiasmo e l’emotività giovanile, sulla naturale attitudine dei ragazzi a muoversi sull’onda dei sentimenti, delle emozioni, delle pulsioni istintive, non filtrate dal faticoso, noioso esercizio della ragione. Avrebbero modo di riflettere sul fatto che uno slogan urlato è più facile, più diretto, più ‘giovanile’ di un ragionamento, ma può essere più stupido, più vuoto, più pericoloso.
L’esigenza principale dei giovani, disse Benedetto Croce, è quella di crescere. Si cresce in tanti modi, in tanti momenti: quando si impara a contare fino a tre prima di parlare; quando si rifugge dalla logica del branco; quando ci si rifiuta di essere un semplice numero tra mille; quando si riconosce, senza vergogna, di potere sbagliare, o di avere sbagliato.
Ma il problema è che non sempre si vuole crescere. Rimanere ragazzini è molto più comodo.

Francesco Lucrezi, storico