Una calunnia di troppo
Nella triste, squallida sequenza di catene di Sant’Antonio in cui molti accettano, per convenzione o per obbedienza, di relegare il dibattito interno al mondo ebraico italiano, capita di leggere di tutto. Non solo le opinioni più disparate, non solo le affermazioni più iperboliche, non solo le accuse più colorite e spesso purtroppo infondate. Un chiacchiericcio vacuo, prima ancora che sgradevole, animato dall’intenzione di dare lezioni agli altri prima ancora di prendere atto della realtà dei fatti. In questo mondo onirico tutti la sanno meglio degli altri (soprattutto con l’aiuto del senno di poi), tutti credono di avere molto da insegnare e niente da imparare, tutti sono convinti di sapere come si deve operare (non solo nell’ambito delle proprie competenze professionali, ma anche in quelle altrui). Un sottofondo di monologhi che spesso sconfina oltre i limiti del lecito, calpestando i valori in gioco e il lavoro svolto, e che meriterebbe forse poche attenzioni da parte degli ebrei italiani effettivamente interessati ad affrontare i problemi reali: difendere Israele, tutelare le nostre comunità, costruire il futuro, ma soprattutto non perdere mai lo slancio, il coraggio, il buon umore e l’orgoglio che da sempre caratterizzano l’esistenza ebraica.
Capita tuttavia di tanto in tanto di imbattersi anche in farneticazioni penose, inviate a larghi e qualificati gruppi, come una, apparsa di recente, secondo la quale la redazione avrebbe proceduto a una epurazione tesa a impedire a qualcuno di esprimere le proprie opinioni.
Tutto ciò obbliga a una risposta. Non tanto per riaffermare l’evidenza di una falsità di questo livello, poiché qualunque osservatore onesto può constatare da solo come fra i 120 collaboratori della redazione esistano già le voci più diverse e altre se ne possono liberamente aggiungere in ogni momento, così come altre ancora, per loro libera insindacabile scelta, hanno preferito, speriamo provvisoriamente, interrompere il dialogo. Ma soprattutto per riaffermare che in questa redazione operano giornalisti vincolati all’etica professionale e al dovere di applicare le direttive dell’ente editore.
Fra queste linee guida, allo stato attuale figura anche la seguente indicazione:
“Offrire opportunità di espressione alla realtà ebraica italiana in tutta la sua complessità e varietà, favorendo un sereno confronto fra idee, identità e culture diverse, ponendo come solo confine alla libertà di espressione il rispetto dell’identità di ciascuno”.
Nel pubblicare gli interventi dei collaboratori, la redazione è obbligata ad attenersi scrupolosamente all’applicazione di tale direttiva. E così in effetti avviene. Capita di sentire tante sciocchezze e il più delle volte di non darci peso per carità di patria, magari anche al rischio di favorire azioni malevole e sconsiderate. Ma questa calunnia è di troppo, tacere non è più consentito.
g.v.