…diffamazione
Su queste pagine è apparsa una riflessione sull’inopportunità che un giornalista (il direttore del Giornale, Sallusti) finisca in prigione per le sue idee. E la cosa, detta così, trova facile consenso presso ogni mente libera e minimamente illuminata. Credo si possa anche riflettere più articolatamente, tuttavia, sul fatto che non dovrebbe essere lecito a nessuno diffamare gratuitamente il prossimo, magari per contrastare l’azione giuridica di un magistrato. Non dovrebbe essere lecito distruggere, con la diffamazione, la dignità e la reputazione di un uomo e la sua carriera professionale, e non dovrebbe essere lecito cercare di devastargli allo stesso tempo la quiete familiare (come è stato fatto con Boffo, direttore dell’Avvenire). La diffusione di notizie false (oltretutto per mano altrui, come ha fatto il direttore Sallusti) per delegittimare l’avversario è una prassi non degna di un paese e di una società che si dicano civili, e la denuncia di tale prassi, chiunque sia l’avversario, dovrebbe essere netta e senza ambiguità, come norma etica per tutti noi. Credo non sia necessario richiamarsi alla Torah e all’halakhah per affermare questo principio. Curioso che in ebraico uno dei termini per la calunnia sia ‘rachil’, l’azione di chi ‘mercanteggia’ in falsità, forse perché spesso la calunnia viene ripagata in denaro da chi la usa ad interesse. Quindi, rovesciando il risultato di certe riflessioni: la prigione è certamente troppo per un atto di diffamazione, ma una condanna pecuniaria è certamente troppo poco. Osservando, ad aggravante, che da un direttore di giornale, che forma (e deforma) l’opinione della gente, ci si aspetterebbe un pizzichino di etica in più.
Dario Calimani, anglista