Il racket dell’elemosina
La notizia è questa. La cito a memoria perché compare ciclicamente, cambiano i dettagli ma non la sostanza: sgominato racket dell’elemosina nelle nostre città, costretti a mendicare in condizioni terribili per mandare pochi spiccioli a casa. Donne e uomini provenienti dall’Europa dell’est (ma non solo) vengono “importati” da criminali allo scopo di drenare denaro ai semafori, agli angoli delle strade, all’uscita dei supermercati. Talvolta costretti a zoppicare, fare finta di avere menomazioni perché con la pietà si guadagna di più.
La notizia è questa, dunque, purtroppo non così rara. Ma la domanda è: quale atteggiamento produce in noi questo titolone? Temo che ci faccia concentrare solo sulla prima parte della storia, e non sulla seconda, quella che ci riguarda. Mi spiego. Oltre al giustificato sdegno per questi criminali senza scrupoli occorre domandarsi: posso fare qualcosa per queste persone disgraziate? Posso, anche in minima parte, aiutarli quando li vedo che aspettano in un distributore di benzina chiuso e gelido, tanto per fare un esempio?
Questa domanda non ce la poniamo, invece. Ci ricordiamo della notizia solo per essere più tranquilli quando non vogliamo elargire gli spiccioli che abbiamo in tasca. Ma, se vogliamo essere proprio precisi, pur nelle condizioni terribili in cui queste persone vengono obbligate a mendicare, tutte hanno mandato un po’ di soldi a casa, e magari mantenuto la famiglia. Come dire, dal loro punto di vista meglio di niente.
Insomma, la mia sensazione è questa: a meno che non si sia molto attivi nel contrasto alla povertà, non si faccia volontariato sociale, non si sia davvero generosi in qualche modo, una moneta bisogna sempre darla. Come ci insegna la tradizione ebraica – se ben ricordo – che intima di fare l’elemosina a tutti, meglio poco ma a tutti. E come ci insegna l’esperienza: chi non dà una moneta, e vi spiega mille ragioni per non farlo, generalmente non dona neanche molto di più.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas – twitter @tobiazevi