L’ambasciatore Gilon: “Italia e Israele, il legame resta forte”

Sua eccellenza l’ambasciatore di Israele a Roma Naor Gilon ha rilasciato al giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche la seguente intervista, che apparirà sul numero di gennaio presto in distribuzione e che anticipiamo ai lettori. La redazione considera le sue parole un segno di incoraggiamento nel lavoro, spesso difficile e delicato, di raccontare al pubblico italiano l’Israele reale e rompere gli schemi di chi vorrebbe confinare la realtà di Israele in un cupo, asfittico e falsato quadro di conflitti e intolleranze.

Settimane intense per l’ambasciatore israeliano a Roma Naor Gilon, in Italia dalla scorsa primavera. La crisi tra Israele e Gaza, l’operazione Pilastro di difesa, il voto con cui l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha riconosciuto l’Autorità nazionale palestinese come Stato osservatore, ma anche l’avvicinarsi delle elezioni tanto a Gerusalemme quanto a Roma, segnano una situazione complessa e in rapida evoluzione. Gilon ne discute approfondendo il rapporto tra i due paesi a trecentosessanta gradi. Ricordando sempre che le stagioni di nuove sfide possono portare anche nuove opportunità e che i lunghi periodi con la strada in discesa possono generare una pericolosa mancanza di riflessi, l’ambasciatore cita il presidente di Israele Shimon Peres che recentemente, di fronte alla scoperta di ingenti risorse naturali e giacimenti di gas sottomarini, ha messo in guardia contro il rischio che questo inaspettato beneficio porta indirettamente con sé: “Bisogna tenere sempre a mente come Israele trasformò l’ostacolo di essere privo di risorse naturali in uno stimolo a sviluppare con coraggio la creatività e il suo capitale umano”.
Ambasciatore Gilon, le relazioni tra Italia e Israele hanno raggiunto negli ultimi anni un buon livello di stabilità. In queste settimane abbiamo assistito ad alcuni momenti delicati, culminati con il voto all’Onu. Qual è la sua visione in merito?
È importante spiegare il perché della nostra perplessità di fronte alla decisione dell’Onu. Da molti anni Israele si muove nella direzione della soluzione dei due Stati per due popoli. Ma se non ci si arriva tramite il negoziato si lancia il messaggio sbagliato, e cioè che si possano ottenere risultati senza il dialogo. Per quanto riguarda la posizione italiana, ci è dispiaciuto venire informati soltanto il giorno stesso della votazione, senza venire consultati in precedenza. Inoltre le condizioni che aveva posto l’Italia ad Abu Mazen, tornare ai negoziati con Israele senza precondizioni e non utilizzare strumentalmente il risultato della votazione per deferire Israele alla Corte internazionale di giustizia, sono già state disattese. Per questo anche l’idea che Abu Mazen abbia visitato l’Italia per ringraziarla, considerando il discorso che aveva tenuto all’indomani dell’Assemblea Onu in cui ha usato termini estremamente duri verso Israele è piuttosto frustrante. Ma allo stesso tempo le relazioni tra Italia e Israele coinvolgono diversi livelli. L’Italia è il secondo partner di Israele per la cooperazione scientifica in Europa e il quarto nel mondo. La collaborazione sul piano culturale ed economico è eccellente. Il turismo fra i due paesi in aumento. Sul piano politico gli ultimi avvenimenti hanno rappresentato un momento difficile. Ma allo stesso tempo oggi i legami tra i due Stati si mantengono forti e possono contare su rapporti personali improntati alla fiducia. Penso che al di là delle contingenze, al di là dell’esito delle elezioni, questo sia un dato di fatto che non venga messo in discussione.
Israele terra di cultura, di arte, di innovazione. Ma anche di una grande diversificazione interna. Nel dibattito politico, così come sui mezzi di informazione, trovano spazio le posizioni più disparate, comprese quelle estremamente dure. Entrambi gli aspetti colpiscono molto.
Israele è uno dei paesi più aperti e democratici del mondo. Questa diversità, la capacità di accettare critiche, è un suo fondamentale punto di forza. Quella di mostrare le sfaccettature dell’Israele oltre il conflitto è una parte essenziale del nostro lavoro. Per questo favoriamo eventi che portino i protagonisti della cultura israeliana in Italia, momenti di incontro per gli imprenditori e di confronto per gli scienziati, in una dimensione che non ha niente a che fare con la propaganda politica. Molti esponenti del mondo della cultura israeliana sono portatori di una visione critica verso il governo, ma questo non costituisce alcun problema, non essendo neppure scontato che l’opinione di un cantante o uno scrittore debba essere necessariamente significativa nell’ambito della politica internazionale. Con un solo limite: l’antisionismo, l’attacco all’ideale fondante di Israele. Non trovo giusto, per esempio, invitare in Italia per una conferenza a spese dei contribuenti israeliani un professore che favorisca il boicottaggio accademico della sua stessa università.
Quella di mostrare la realtà di Israele oltre il conflitto è una questione che va di pari passo con il tema dell’informazione sullo Stato ebraico, e della tendenza ad appiattirne la realtà a una situazione di guerra e problema perenne.
I mezzi di comunicazione tendono a dare rilievo alle questioni di maggiore appeal per il grande pubblico, e la guerra lo è senz’altro, così come lo sono talvolta per esempio, le tematiche sul mondo degli ebrei ultraortodossi. Ovviamente è molto più difficile comunicare eventi culturali o scientifici. Eppure è importante lavorare proprio in questa direzione e il nostro impegno è molto forte. Per esempio i contenuti della nostra posizione sui social network rispecchiano esattamente questa visione di raccontare l’Israele reale, senza negare la realtà dei conflitti, ma rimettendola nella sua vera proporzione.
Come si intreccia questa scelta con la necessità di raccontare anche quello che avviene a proposito del conflitto? E come giudica in particolare il modo in cui è stata riportata dai media italiani l’operazione Pilastro di difesa?
Anche questo è un aspetto che va affrontato. Per Israele può essere più difficile comunicare in modo spettacolare perché ovviamente fa di tutto per proteggere la sua popolazione civile dagli attacchi, si impegna per la difesa dei suoi cittadini e quindi diventa più complicato contrastare l’immagine di aggressore nei confronti di chi invece sta bene attento a falsificare la realtà giocando sull’emozionalità e speculando sui destini della propria popolazione civile. Nel caso di Pilastro di difesa ho trovato la copertura dei media italiani certo talvolta tendenziosa, non ideale, ma comunque accettabile. Penso che parte del merito vada attribuito alla comprensione che abbiamo ricevuto, la comprensione che di fronte a razzi che quotidianamente minacciano la vita di milioni di civili, qualcosa andava fatto.
Quale può essere il ruolo dell’ebraismo della Diaspora in questo senso?
Le Comunità ebraiche della Diaspora possono svolgere un lavoro importante come ponte verso la società in cui sono presenti e compenetrate. Più numerose e diversificate sono le componenti della società con cui si riesce a entrare in contatto, migliore è il risultato ottenuto. Attenzione, noi non chiediamo a nessuno un supporto cieco, acritico. Basta una esposizione corretta della realtà, di tutta la realtà di Israele. Pensiamo di avere ragioni solide da far valere e allo stesso tempo che ci siano pochi paesi che abbiano da raccontare e offrire al mondo con orgoglio tanto quanto Israele in tutte le sue sfaccettature.

Rossella Tercatin, Pagine Ebraiche, gennaio 2013