Un animale morale
È il periodo più religioso dell’anno. In qualsiasi città americana o britannica il cielo notturno è illuminato da simboli religiosi, sicuramente ci sono decorazioni natalizie e probabilmente anche una menorah gigante. La religione in Occidente sembra essere viva, e in buona salute.
Ma lo è veramente? O si tratta di simboli che sono stati svuotati di contenuto, nulla più che uno sfondo scintillante per la nuova fede occidentale, il consumismo, e per le sue cattedrali laiche, i centri commerciali?
A un primo sguardo, la religione è in declino. In Gran Bretagna sono appena stati pubblicati i risultati del censimento nazionale del 2011. Mostrano che un quarto della popolazione dichiara di non avere una religione, un dato circa doppio rispetto a quello di dieci anni fa. E nonostante gli Stati Uniti d’America restino il paese occidentale più religioso circa il venti per cento della sua popolazione dichiara di non avere un’affiliazione religiosa, un numero doppio rispetto alla generazione precedente.
Se si guardano i dati da un punto di vista differente, però, si può vedere come raccontino una storia diversa. Sin dal diciottesimo secolo, molti intellettuali occidentali hanno predetto l’imminente morte delle religioni. Tuttavia nonostante una serie di attacchi volti a sconfiggerle, il più recente da parte dei nuovi atei, fra cui Sam Harris, Richard Dawkins e lo scomparso Christopher Hitchens, si dichiarano devote a una fede religiosa tre persone su quattro in Gran Bretagna e quattro persone su cinque in America. Ed è questo, nell’età della scienza, a essere davvero sorprendente.
È ironico che molti dei nuovi atei siano seguaci di Charles Darwin. Siamo quello che siamo, sostengono, perché si tratta di ciò che ci ha permesso di sopravvivere e di passare il nostro codice genetico alla generazione successiva. Il nostro assetto biologico e culturale costituisce la nostra capacità di adattamento. Tuttavia la religione è il sopravvissuto più grande di tutti. I superpoteri tendono a durare un secolo, le grandi fedi durano millenni; la domanda è: perché?
Lo stesso Darwin ha suggerito quella che è quasi sicuramente la risposta corretta. Era stuzzicato da un fenomeno che sembrava contraddire una sua tesi di base, ossia che la selezione naturale debba favorire i più spietati. Gli altruisti, che mettono a rischio la propria vita per gli altri, dovrebbero quindi in genere morire prima di passare i propri geni alla generazione successiva. Però tutte le società danno valore all’altruismo, e qualcosa di simile può essere visto anche tra gli animali sociali, dagli scimpanzé ai delfini e alle formiche tagliafoglie.
Gli scienziati hanno mostrato come funziona. Abbiamo neuroni specchio che ci portano a provare dolore quando vediamo gli altri soffrire. Siamo animali morali.
Le implicazioni precise delle risposte di Darwin sono ancora oggetto di dibattito da parte dei suoi discepoli, tra cui lo studioso di Oxford Richard Dawkins. Per spiegarlo nel modo più semplice possibile: passiamo i nostri geni come individui ma sopravviviamo come membri di un gruppo, e i gruppi possono esistere solo quando gli individui non agiscono esclusivamente per il proprio bene ma per il bene del gruppo come un unico insieme. Il nostro unico vantaggio è che formiamo gruppi più grandi e più complessi rispetto a qualsiasi altra forma di vita.
Un effetto è che abbiamo due modalità di reazione, una che si concentra su potenziali pericoli per noi, come individui, e l’altra, situata nella corteccia prefrontale, che ragiona in maniera più ponderata sulle conseguenza delle nostre azioni su di noi e sugli altri. La prima è immediata, istintiva ed emotiva. La seconda è riflessiva e razionale. Siamo presi in mezzo, per usare una frase dello psicologo Daniel Kellerman, tra pensiero veloce e pensiero lento.
Il percorso veloce ci aiuta a sopravvivere, ma può anche portarci ad agire in maniera impulsiva e distruttiva. Il percorso lento ci porta ad un comportamento più ragionato, ma che spesso è ignorato nella foga del momento. Siamo peccatori e santi, egoisti e altruisti, esattamente come hanno a lungo sostenuto filosofi e profeti.
Se è così, possiamo capire come la religione ci abbia aiutato a sopravvivere nel passato – e perché ne avremo ancora bisogno nel futuro.
Rafforza e accelera il percorso lento. Riconfigura i nostri tracciati neurali, trasformando l’altruismo in istinto, attraverso i rituali che seguiamo, il testo che leggiamo così come le preghiere che pronunciamo. Rimane l’elemento più potente per la costruzione di comunità che il mondo abbia mai conosciuto. La religione lega gli individui all’interno di un gruppo attraverso comportamenti altruisti, creando relazioni di fiducia abbastanza forti da sconfiggere emozioni distruttive. Ben lontani dal confutare la religione, i Neo Darvinisti ci hanno aiutati a capire perché è importante.
Nessuno lo ha spiegato in maniera più elegante di quella usata dallo scienziato politico Robert D. Putnam. Negli anni ’90 è diventato famoso per la frase “bowling alone” (giocare a bowling da soli): il numero di persone che andavano a giocare a bowling era in aumento, ma erano meno quelle che si univano a una squadra di bowling. L’individualismo stava lentamente distruggendo la nostra capacità di formare dei gruppi. Un decennio più tardi, nel suo libro American Grace, ha mostrato che è rimasto un solo luogo in cui è presente un capitale sociale: le comunità religiose.
La ricerca di Putnam ha mostrato che chi va frequentemente in chiesa o in sinagoga è più disponibile a donare soldi a enti caritatevoli, fare lavoro volontario, aiutare i senzatetto, donare sangue, aiutare un vicino con i lavori di casa, passare del tempo con chi si sente depresso, offrire il posto a uno sconosciuto o aiutare qualcuno a trovare un lavoro. La religiosità misurata in frequentazione di una chiesa o di una sinagoga è un indicatore di altruismo migliore rispetto a istruzione, età, reddito, genere o appartenenza razziale.
La religione è il miglior antidoto all’individualismo dell’epoca del consumismo. L’idea che la società possa farne a meno è contraria alla storia e, ora, all’evoluzionismo biologico. Questo potrebbe mostrare che Dio ha il senso dell’umorismo. Certamente mostra che le società libere dell’Occidente non devono mai perdere il loro senso del Divino.
Jonathan Sacks, rabbino capo del Commonwealth
International Herald Tribune, 24 dicembre 2012
(versione italiana di Ada Treves)