Eroi nell’ombra
Raramente, in vita mia, mi è capitato di essere preso da una lettura come mi è successo col libro (recentemente pubblicato in italiano dall’Editore Castelvecchi, col titolo La casa di via Garibaldi. Come ho catturato Adolf Eichmann) in cui Isser Harel racconta, fin nei minimi particolari, i lunghi preparativi e la fase di attuazione del progetto dell’individuazione, della cattura e del trasporto clandestino in Israele del famoso ideatore e attuatore della soluzione finale (che, com’è noto,dopo la guerra trovò rifugio in Argentina, sotto falsa identità). Nei libri di storia si legge unicamente che Eichmann fu intercettato dai servizi segreti israeliani, che lo custodirono per del tempo in un nascondiglio, per poi trasferirlo di nascosto su di un aereo giunto in Argentina per una celebrazione ufficiale. E l’immaginazione, da tale scarna notizia, ci fa vedere in azione uomini duri, brillanti e determinati, alla James Bond, assistiti da modernissimi mezzi tecnologici e, magari,confortati dalla compagnia di seducenti e misteriose ragazze di varia nazionalità. In realtà, Eichmann fu catturato grazie alla straordinaria abnegazione, all’assoluto spirito di sacrificio e all’incredibile abilità di un gruppo di volontari (per lo più scampati alla Shoah, nella quale avevano perso gran parte dei propri cari) che scelsero, affrontando altissimi pericoli personali, di dedicare parte della propria esistenza a un compito che pareva impossibile, ma che li chiamava all’opera con la forza di un imperativo etico assolutamente ineludibile: il compito di trascinare, di fronte a un legittimo tribunale del popolo ebraico, il massimo responsabile, insieme a Hitler, della mostruosa condanna a morte decretata contro lo stesso popolo dalla follia nazista.
Fu solo grazie a questo eccezionale senso del dovere che la missione fu portata a compimento, e che il sottilissimo filo di fumo delle vaghe voci su una presenza di Eichmann in Argentina fu trasformato, dopo lunghissime ricerche – iniziate alla fine del 1957, due anni e mezzo prima del rapimento -, indagini, appostamenti, in una individuazione certa del criminale, nella sua cattura e custodia e poi nel suo trasferimento. Un piano di incredibile difficoltà, nel quale anche i più minuziosi particolari furono preparati con attenzione maniacale, insieme ai preparativi anche di una serie di piani di riserva, nel caso che qualcosa fosse andato storto, qualcuno del gruppo fosse stato scoperto ecc.
Fra le prove più dure che i volontari dovettero osservare, racconta Harel, ci fu lo sgradevolissimocompito di accudire il detenuto nel periodo della prigionia, assicurandosi che restasse in buona salute, e premurandosi ogni giorno di nutrirlo, lavarlo, raderlo, sorvegliarlo anche nei momenti delle funzioni corporali. Un prigioniero che, fin dal primo momento, si mostrò docile come un agnellino, assicurando di essere stato sempre amico degli ebrei – pur avendo egli, dopo la guerra, rivendicato con orgoglio tutto il proprio operato, in un’intervista rilasciata dalla clandestinità a un giornale olandese – recitando brani della Torah e mostrandosi addirittura preoccupato che il piano potesse andare incontro a qualche intoppo imprevisto. Si trattava della sua natura di schiavo che si imponeva – si chiede l’autore -, o di un ingenuo desiderio di salvarsi la vita, grazie a un attestato di buona condotta? Onnipotente alla guida della spaventosa macchina distruttiva germanica, Eichmann, privato del suo giocattolo, si palesò un uomo di incredibile meschinità, codardia, stupidità. E fu soprattutto la convivenza forzata con un tale mostro patetico e disgustoso a mettere a dura prova la resistenza nervosa degli agenti.
Grazie alla forza d’animo di questi uomini coraggiosi, alle ore 0,05 del 21 maggio 1960 l’aereo della El Al si alzò in volo, con il suo carico prezioso e ripugnante, e si aprì quindi la memorabile pagina di un processo che resterà per sempre una pietra miliare nella storia della coscienza umana. Onore agli umili, grandi eroi che hanno permesso l’erezione di questo monumento. Tutti tornati, a missione ultimata, nell’anonimato, senza alcun encomio e alcuna medaglia.
Francesco Lucrezi, storico