Qui Londra – Limmud, una settimana di confronto
Avete mai provato a fare attenzione alle parole che sentite quando incrociate una conversazione per strada? Io lo faccio continuamente, e ho naturalmente portato il mio gioco anche a Limmud, la conferenza in cui ogni singolo ebreo può essere al tempo stesso insegnate e allievo, partecipante e organizzatore. Ho preso nota in maniera scientifica: su ogni cinque conversazioni orecchiate, tre dicono “ebreo”, una “ortodosso” e una “riformato”. Il fatto non dovrebbe sorprendere, visto che l’unico – seppur centrale – legame tra una lezione di Ghemarah, una sessione di yoga basata sulle sefirot e un laboratorio di musica yemenita è l’appartenenza ebraica. Da 32 anni, un movimento chiamato Limmud, partito dal basso e composto quasi interamente da volontari, offre agli ebrei di ogni luogo, professione, età, denominazione e affiliazione la possibilità di evadere dal Natale delle loro città e riunirsi in un campus universitario a nord di Londra deserto dagli studenti in vacanza per trascorrere una quasi settimana (da venerdì a giovedì) di intensissimo e rigoglioso confronto con se stessi, con gli altri, con i maggiori pensatori, artisti, accademici, rabbini e leader dell’ebraismo mondiale oltre che con i testi, con l’arte, i film, la musica, i libri e tutto ciò che il mondo ebraico ha vissuto e prodotto nell’ultimo anno. A Limmud chiunque può offrire una sessione, a tutti è concesso e anzi richiesto di dire la loro, purché non offendano altri. Il programma è quindi composto come un potluck: una cena nella quale “ognuno porta qualcosa” senza mettersi d’accordo prima. La sensazione che mi pervade, mentre cammino da un laboratorio di canto a una lezione sulla versione yiddish del Re Lear, è di essere in una sorta di osservatorio sopraelevato dal quale posso scrutare tutta la costellazione ebraica a me contemporanea, vedere quali sono le tendenze, i movimenti, che cosa interessa a chi, quali argomenti sono i più dibattuti e quali invece sono già passati di moda. Quest’anno per esempio sono chiarissime tre aree di interesse: il movimento Lubavitch, la leggenda del Dybbuk (sul quale modestamente offro anch’io una sessione: avevo captato la vibrazione giusta) e il canto come modo per creare una comunità. Non saprei immaginare tre argomenti più distanti uno dall’altro, ma le 180 pagine del programma parlano chiaro: questi sono i temi sui quali quest’anno si accumulano sessioni su sessioni, ognuna con il suo taglio particolare e il suo pubblico. Di pubblico, è facile immaginare, ce n’è per qualsiasi argomento, visto che il numero dei partecipanti supera i 2500. Numerose sono le famiglie: per loro sono a disposizione programmi speciali per bambini e ragazzi da 0 a 18 anni. Si potrebbe dire che Limmud è il grande festival della scelta, e della scelta istintiva! Ogni 70 minuti bisogna (o forse è meglio dire si può, poiché nulla, salvo il rispetto per il prossimo, è obbligatorio qui) scegliere una nuova sessione e un nuovo oratore. Qualche riga in fondo al programma può venirci in soccorso nell’ardua decisione: meglio andare a sentire rav Sperber, il grande decisore di halakhah israeliano, o piuttosto la giovane cantante britannica? E perché non una lezione sulla cucina ebraica italiana, o un confronto – fonti alla mano – tra il racconto talmudico di Chia Bar Ashi, ossessionato dall’inclinazione al male, e Orgoglio e Pregiudizio? Lasciare questo mondo incantato dopo una settimana di idillio, di pura crescita intellettuale e spirituale e di relazioni profonde mi fa sentire un po’ come rabbi Shimon Bar Yochai all’uscita dalla caverna nella quale studiò Torah per 13 anni.. Proprio come rabbi Shimon cercherò di portare la luce di questi sette giorni nel mondo, per perfezionarlo.
Miriam Camerini