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IL 2012 che se ne va si porta via anche un altro pezzo importante della nostra storia, Rita Levi Montalcini, premio Nobel per la medicina, senatore a vita. Aveva 103 anni e pensavamo che l’angelo della morte si fosse dimenticato di lei, che fosse divenuta immortale.
Era figlia di quella Torino del primo Novecento “dove le idee e l’amicizia erano dei beni esaltanti e i corsi alberati sono così lunghi e vasti e deserti che le parole pare che vi possano correre e allargarsi senza inciampi”, per dirla con le parole con cui nell’Orologio descriveva la sua città Carlo Levi, di lei solo di pochi anni più vecchio. Aveva studiato con il prof. Giuseppe Levi, istologo di fama, che ricordiamo nel ritratto buffo ed affettuoso che fa di lui in Lessico Famigliare sua figlia Natalia Ginzburg. Per continuare gli studi, lei, una donna, aveva dovuto lottare con la sua famiglia, come nelle famiglie della buona borghesia ebraica piemontese di quegli anni, anche le più illuminate. E aveva dovuto affrontare come ebrea le discriminazioni delle leggi del 1938 e continuare le ricerche in esilio. Ed era divenuta, con il premio Nobel per la medicina conferitole nel 1986, uno dei vanti della scienza italiana, lei una donna, lei un’ebrea. Un’ebrea, vorrei aggiungere, dichiaratamente laica. Nel 2001, era stata nominata senatore a vita. Aveva avuto una vecchiaia impegnata ed operosa e raccontava di sentirci poco, di vederci ancora di meno, ma di pensare molto più di quando era più giovane.

Anna Foa