Melamed – L’incubo nello zainetto

Fare shopping online è facile: dopo aver trovato chi vende l’oggetto dei nostri desideri basta scegliere tra le opzioni di taglia, di colore, di memoria se si tratta di un gadget hi-tech, per poi decidere la modalità di spedizione e pagamento. Un articolo in particolare è andato letteralmente a ruba negli Stati Uniti, con un aumento delle vendite enorme nelle ultime settimane. Vi sono diversi produttori, uno in particolare nella pagina web mostra l’immagine, con le caratteristiche tecniche elencate a fianco. Sono descritti il materiale di fabbricazione, le tasche interne, gli spallacci ergonomici e regolabili e le dimensioni, e viene data anche la possibilità di scegliere il colore, che può essere rosso, argento, blu, viola e rosa.
Poi un altro menù a tendina permette di scegliere fra la versione standard o il livello II (per 357 Magnum, 45, 40, 9mm) oppure il livello IIIA (per 44 Magnum, 357 SIG) che però costa 100 dollari in più.
Non è una bufala informatica: si tratta veramente di uno zainetto a prova di attacco terroristico, per essere sicuri che i bambini non abbiano dimenticato il giubbotto antiproiettile a casa, e che – come rassicura il sito – può essere portato davanti al corpo rapidamente per essere usato come scudo. Uno zainetto antiproiettile. Mandare a scuola i propri figli con addosso una corazza – che sia integrata nello zaino o che si tratti di un vero e proprio giubbotto anti proiettile cambia poco – sperando che li possa proteggere da una calibro 90 a da una 44 Magnum non è più esperienza di pochi. Se da un lato la notizia è agghiacciante, dall’altro chi potrebbe biasimare quei genitori che scelgono di fare un acquisto simile?
In seguito all’attacco alla scuola di Newtown sono state innumerevoli le critiche alla – carente – legislazione americana sulle armi, e molte le richieste di procedere in tempi rapidissimi a regolare un settore che oltre a un enorme peso economico ha una potentissima lobby che lo sostiene. E qualcuno si è messo a confrontare la situazione americana con quel che succede in Israele, altro paese in cui la diffusione delle armi è altissima, ma senza la stessa incredibile incidenza di attacchi a civili. Nonostante la legislazione israeliana sia rigida, ottenere il permesso di possedere un’arma da fuoco non è difficile, e la diffusione di armi, grazie anche al fatto che tutti i militari e tutti i riservisti ne sono dotati, è enorme. La cultura delle armi, però, è profondamente diversa. La prima parola che si sente pronunciare a qualsiasi corso di addestramento, in qualsiasi poligono di tiro è responsabilità. Non è la legislazione israeliana che protegge i suoi cittadini, pur avendo certamente il suo peso nel garantire che chi ha un problema psichico o mentale non abbia a disposizione un arsenale, bensì la buona educazione. Può sembrare un controsenso associare l’educazione civica al possesso di armi ma saper riconoscere che un fucile semiautomatico è un pericoloso strumento di morte, riuscire a non pensare che sia un mezzo di autoaffermazione e, soprattutto, sapere che il proprio comportamento ha delle conseguenze sia sulla vita degli altri che sulla propria è un deterrente più forte di qualsiasi legge. E parlare di armi rischia di nascondere l’altro aspetto fondamentale del problema: la causa prima delle stragi non è il possesso di un’arma, per lo meno non quanto lo sono i disturbi psicologici degli autori delle recenti carneficine. E in Israele, per continuare il confronto, esiste un sistema sanitario nazionale che comprende l’assistenza psicologica ed è a disposizione di tutti, gratuitamente. Per di più sono così tanti i giovani che rischiano esperienze traumatiche durante il servizio militare che esistono numerose associazioni di sostegno pronte ad accogliere chi abbia bisogno di aiuto.
La speranza è che negli Stati Uniti lo shock porti a un ragionamento collettivo sulle cause più profonde delle stragi che si susseguono a ritmo purtroppo serrato e spesso ai danni di giovani e giovanissimi. E che non si riduca tutto al solo irrigidimento delle leggi sul possesso di armi da fuoco, che già sarebbe un auspicabile passo avanti, ma non basta.
Servono ragionamenti seri e un grande senso di responsabilità. L’educazione e la cultura non bastano, purtroppo, ma nulla vieta di sperare che l’anno prossimo i venditori di zainetti antiproiettile debbano trovare altri articoli su cui contare per aumentare il fatturato.

Ada Treves twitter@atrevesmoked