Il gran rabbino di Francia parla ai cattolici: “Persa la comprensione del senso morale”
È uno dei rabbini più autorevoli e ascoltati nel dibattito internazionale sui temi religiosi tanto da guadagnarsi, nel discorso prenatalizio alla Curia romana di papa Benedetto XVI, la citazione entusiastica del suo scritto “Matrimonio omosessuale, omogenitorialità e adozione: ciò che si dimentica di dire” pubblicato a seguito della recente approvazione della legge per il matrimonio omosessuale varata dal governo Hollande. Rav Gilles Bernheim, gran rabbino di Francia, torna a far sentire la sua voce in un’intervista rilasciata al quotidiano cattolico francese La Croix oggi parzialmente ripresa dall’Osservatore Romano, il giornale della Santa Sede. Al cuore del suo intervento un appello a tutti gli uomini di fede per costruire le basi di una società più solida nei suoi pilastri etici e religiosi. La riflessione si dipana a partire dal dibattito apertosi intorno ai labili confini tra rispetto della dignità umana, sempre doveroso, e legittimità della pratica del matrimonio omosessuale. Il problema è innanzitutto morale, denuncia il rabbino capo. “Abbiamo ampiamente perso la comprensione, insieme teorica e pratica, di quello che è il senso morale. Perché? Perché – afferma – l’effetto corrosivo del dominio del mercato non agisce solo sullo scenario sociale. Viene eroso anche il nostro vocabolario morale, che è indubbiamente la risorsa più importante di cui disponiamo per pensare il nostro futuro. Sempre più, in questa immensa società di mercato che è diventato il nostro pianeta, siamo giunti a pensare solo in termini di efficacia (come ottenere ciò che vogliamo?) e di terapia (come non sentirsi frustrati rispetto a ciò che vogliamo?). Efficacia e terapia, a volte addirittura infiltrate dentro le religioni monoteistiche, sono più imparentate con la mentalità del marketing, la stimolazione e l’appagamento del desiderio, che con la moralità, ossia con ciò che noi dovremmo desiderare”. “Nell’ambito pubblico – prosegue il rav – i due termini che dominano il discorso contemporaneo sono l’autonomia e i diritti, che si conformano con lo spirito del mercato, privilegiando la scelta e scartando l’ipotesi secondo la quale esisterebbero dei fondamenti oggettivi che consentono di effettuare una scelta piuttosto che un’altra. E diventato così molto difficile riflettere collettivamente su quelli che dovrebbero essere i nostri orientamenti, peraltro i più decisivi che si siano mai presentati all’umanità, che riguardino sia l’ambiente, la politica, l’economia, sia l’idea stessa di famiglia o di matrimonio, la vita e la morte”. La posta in gioco, nel caso specifico, non sé quindi l’omosessualità ma “il rischio irreversibile di una confusione delle genealogie” con la sostituzione della parentalità alla paternità e maternità e una confusione aggiuntiva dello status del bambino che passa da quello di soggetto a oggetto “al quale ognuno avrebbe diritto”. Rav Bernheim cita il caso dei nuovi manuali scolastici che esortano il bambino non solo a rispettare gli omosessuali come persone ma anche a riconoscere la fondatezza del loro comportamento. L’esigenza di legittimazione, osserva, “sembra tradurre a maggior ragione una permessività generale, quindi la rimozione di qualsiasi giudizio”.
“Da questo momento in poi – sottolinea – la presunta legittimazione non è più tale nel quadro dell’irrilevanza delle scelte. È piuttosto tutta l’antica legittimità del matrimonio, quale istituzione riconosciuta dalla società come buona per il suo equilibrio e la sua perennità, a venire cancellata”. Oggi, la sua amara conclusione, “la società oscilla stranamente tra ciò che è violentemente escluso, come i riferimenti alla nozione di sforzo su se stessi, all’esistenza di gerarchie morali, alle tradizioni e alle convenienze, e una permissività molto forte che deriva dalla mancanza di coraggio, dall’incertezza o dall’indifferenza”. Nel testo pubblicato su La Croix (che è un giornale cattolico ad altissima professionalità e il cui assetto proprietario non risponde direttamente alle gerarchie ecclesiastiche) anche un botta e risposta molto significativo sui rapporti tra ebraismo e cristianesimo che la redazione del quotidiano vaticano, sempre molto attenta ai dettagli, ha preferito sfumare forse per non turbare troppo gli animi di casa propria. Ribaltando la prospettiva della domanda di Martine De Sauto, autrice dell’intervista, rav Bernheim si sofferma sulla non accettazione della figura del Cristo nella religione ebraica. “L’antigiudaismo cristiano – sostiene il rav nell’auspicare un confronto franco e sincero – sarà superato soltanto quando tutti i cristiani saranno in grado di percepire in modo positivo il ‘no’ ebraico a Cristo”.
Già Ernesto Galli Della Loggia, tra gli altri, in un editoriale apparso sul Corriere della sera il 30 dicembre, aveva elogiato la densità e l’autorevolezza del pensiero di rav Bernheim mettendo il punto sui profondi legami teologici e dottrinari tra ebraismo e cristianesimo e non mancando di rimarcare, con toni netti, l’assenza in Italia di una voce ebraica forte e presente su questi temi. “Quando da noi si parla di temi che in qualche modo coinvolgono la fede religiosa – scriveva Della Loggia – l’ebraismo tenda a non avervi e/o prendervi alcuna parte. E quindi a non essere mai menzionato. Basta porre mente a tutta la discussione sulla liceità dell’ingegneria genetica, dell’eutanasia o del matrimonio tra omosessuali. Dibattendosi di queste cose è come se l’ebraismo fosse disceso nelle catacombe tanto la sua voce è tenue o assente”. Dal gran rabbino di Francia, secondo il noto giornalista e storico romano, anche un’altra lezione. “E cioè – proseguiva – quanto è importante che la discussione pubblica sia condotta con coraggio, sfidando il conformismo che spesso anima l’intellettualità convenzionale e il mondo dei media. Quanto è importante che personalità autorevoli non abbiano paura di far sentire la loro opinione anche quando questa non è conforme a quello che appare il mainstream delle idee dominanti. È una lezione particolarmente essenziale per l’Italia. Dove è sempre così raro ascoltare voci fuori dal coro e provenienti da bocche insospettate, dove è sempre così forte la tentazione di aver ragione appiccicando etichette a chi dissente invece di discuterne gli argomenti, dove sono sempre pronti a scattare spietatamente i riflessi condizionati delle appartenenze”.
Adam Smulevich – twitter @asmulevichmoked