Life in stills
Per chi si fosse perso nel numero incalcolabile di festival del cinema sparsi in giro per il mondo e il calendario, settimana prossima inizia il New York Jewish Film Festival, alla sua ventiduesima edizione. Fra i film in concorso, il cui scopo è dipingere la realtà ebraica in ogni sua sfumatura, uno in particolare ha già riscosso successo nelle sue proiezioni precedenti, vincendo molti premi. Si tratta di Life in stills, un documentario di circa un’oretta in ebraico e tedesco coi sottotitoli in inglese, girato dalla giovane regista israeliana Tamar Tal. Quella che si racconta è una di quelle tipiche storie dolciamare, in cui si ride e si piange. I protagonisti sono Miriam Wissenstain, arzilla novantaseienne che dalla morte del marito ne ha preso in gestione il negozio di fotografie nel cuore di Tel Aviv, The Photo House, e suo nipote Ben, che quando arriva una lettera che dà loro tre mesi prima di essere sfrattati, si impegna ad aiutarla a salvare la storica attività. E così al centro di quest’avventura si dipinge la geniale relazione fra una nonna dal carattere forse non troppo accomodante ma di certo davvero interessante e un nipote che piano piano la scopre fino ad arrivare a conoscerla in profondità e, missione impossibile, prova a smussarla. Dando vita a dialoghi veramente surreali, in cui non si sa come Miriam ce l’ha sempre vinta, anche quando Ben le fa notare che sarebbe meglio non insultare i clienti. Ma al di là di questo, ciò che attira in un attimo l’attenzione non sono le battute argute o la vicenda commovente, e nemmeno la tenerissima foto della locandina con Ben e Miriam appoggiati l’uno alla spalla dell’altro, ma proprio il titolo. Perché Life in stills, vita in fotogrammi, significa che il lavoro di una vita sta nel milione di negativi conservati nel negozio e che documentano la storia di Israele praticamente dalle sue origini, ma anche che in generale in un’immagine stampata su un pezzo di carta è davvero possibile toccare un concretissimo frammento di se stessi, e raccogliendone tante si può ricostruire la propria vita come un delicato castello. Perché in fondo anche i ricordi non sono altro che piccole immagini, fotogrammi del film di cui ognuno è regista.
Francesca Matalon, studentessa di lettere antiche twitter @MatalonF