Nozioni di base

Negli ultimi giorni, le esternazioni degli esponenti dell’Autonomia Palestinese riguardo all’identità e alla natura della loro controparte israeliana hanno subito un’accelerazione esponenziale. Cito a caso tra le varie dichiarazioni ufficiali – riportate su numerosi siti web, ma tutte rigorosamente ignorate dalla stampa nostrana, che, come sempre, di fronte alla Palestina ‘reale’, fa come le scimmiette che si chiudono occhi, bocca e orecchie: molto più comodo avere a che fare con la Palestina dei sogni -: “il Muro Occidentale di Gerusalemme è un luogo santo islamico e nessun ebreo vi ha mai pregato prima del 1917”; “Gerusalemme in ogni sua parte è prerogativa dei palestinesi”, e le rivendicazioni israeliane sulla città “non hanno alcun fondamento religioso, storico o giuridico”; il Tempio di Gerusalemme “non è mai esistito”; in Palestina “non c’è mai stata alcuna storia ebraica”, gli ebrei, prima del XX secolo, “non sono mai stati a Gerusalemme”, e così via.
Questa forma di negazionismo, certo, non è una novità: anche Gesù, Giuseppe, Maria non erano ebrei, ma palestinesi, gli ebrei, semplicemente non ci sono mai stati, né a Gerusalemme né ad Auschwitz. Ma, dopo la ‘promozione’ da parte delle Nazioni Unite, il ritornello è diventato martellante, tale da sollevare due semplici domande.
Prima domanda. Sulla base di queste convinzioni, perché mai i palestinesi dovrebbero accettare, un domani, di sedersi al tavolo delle trattative con intenzioni serie, ossia sulla base di un mutuo riconoscimento tra le controparti, con l’obiettivo di una pacifica convivenza tra due distinte entità nazionali e statuali? Perché dovrebbero farlo? Perché avallare un sopruso, dare concretezza di popolo e di nazione a qualcosa che non esiste, a un fantasma?
Per immaginare un negoziato che abbia almeno una parvenza di serietà, ci si dovrebbe quindi attendere che le autorità palestinesi cambino, almeno in parte, le loro “nozioni di base” di storia e geografia. Ma – e qui viene la seconda domanda, che è uguale alla prima – perché mai dovrebbero farlo? Se, così come sono, riscuotono il plauso scrosciante del “resto del mondo”, perché dovrebbero cambiare? Questa è la Palestina che il mondo vuole: parole violente (ANM) o gesti violenti (Hamas), non un’altra. Perché cambiare?

Francesco Lucrezi, storico