Il contributo ebraico

Ho trovato decisamente interessante l’articolo di Ernesto Galli della Loggia e la risposta ieri di Guido Vitale. In entrambe le considerazioni c’erano degli spunti validi su cui credo l’ebraismo italiano non debba smettere di ragionare. In realtà credo che entrambi abbiano ragione e torto. Ha ragione Vitale quando sostiene che sia ingeneroso “accusare” l’ebraismo di un coscienzioso silenzio sui temi fondamentali, ma dall’altra parte è innegabile che il contributo ebraico alla discussione pubblica sia sporadico e non rappresentativo di una cultura che invece avrebbe molto più da dire. In questo senso ritengo che negli anni si sia creato uno spiacevole equivoco: quello di pensare, e soprattutto di far pensare, che il contributo di alcuni ebrei coincidesse automaticamente con un contributo ebraico in termini di valori assoluti. Spesse volte, anche in buona fede, all’esterno si è creduto che alcune voce autorevoli rappresentassero la visione di società ebraica e non se stessi, per il solo fatto che fossero ebrei; dimenticando però che l’ebraicità di alcune posizioni non dipende dalla nascita di chi le sostiene, quanto dalla coerenza ai valori ebraici espressi dalla nostra tradizione scritta e orale. La domanda che dobbiamo porci quindi è se accontentarci di quanto fatto finora o pensare invece che la tradizione ebraica possa garantire un apporto valoriale maggiore rispetto a quanto fatto in passato. Io penso di sì e credo che forse questa sia la sfida culturale dell’ebraismo italiano che nei prossimi vent’anni dovrà affrontare per cercare di contribuire a superare una crisi che non è solamente economica, ma anche morale e sociale.

Daniel Funaro