bocca…
Insieme alla prescrizione di ricordare ogni anno l’uscita dall’Egitto e di insegnarne il valore alle generazioni future, la Torah ci impone che ciò sia “come segno sulla tua mano e per memoria fra i tuoi occhi, affinché l’insegnamento del Signore sia nella tua bocca”. È l’istituzione del precetto dei Tefillìn, che leghiamo appunto al braccio ed alla fronte. Come sappiamo, nella concezione ebraica qualunque concetto astratto è privo di valore se non ha una corrispondenza pratica: l’idea non vale nulla se non è applicata in un’azione concreta, e l’azione senza un’idea dietro è sterile. Ma un’altra considerazione ci è suggerita dal versetto che abbiamo citato. Se osserviamo attentamente i termini, ritroviamo nominate tre distinte parti del corpo: la mano, gli occhi e la bocca. Ora, se i primi due sono direttamente in relazione con i Tefillìn, non vediamo che cosa c’entri la bocca. Una possibile spiegazione si può trovare interpretando in maniera più lata: oltre all’idea ed alla pratica (rispettivamente rappresentati da testa e braccio), un altro elemento deve entrare in gioco: la parola; per questo la Torah avverte “le-mà‘an tihyè Toràth Ha-Shèm be-fìkha”, “affinché l’insegnamento del Signore sia nella tua bocca”, e non nel tuo cuore o nel tuo cervello. Si tratta qui di testimoniare anche con le parole gli effetti della liberazione dall’Egitto: con la Tefillah, ovviamente, ma anche evitando la maldicenza, non avendo timore di affermare il punto di vista dell’Ebraismo su questioni etiche e pratiche. Come ogni giorno mettiamo i Tefillìn, ogni giorno dovremo essere pronti a dichiarare, manifestare e glorificare l’Ebraismo attraverso l’uso che faremo della nostra bocca.
Elia Richetti, presidente dell’Assemblea rabbinica italiana
(17 gennaio 2013)