…elezioni israeliane
Ultimo giovedí prima delle elezioni in Israele. La prognosi da noi pubblicata su questa pagina il 24 dicembre – sembra strano – può essere riletta parola per parola: non è cambiato nulla. A parte modesti trasferimenti di preferenze all’interno di ognuno dei due blocchi principali di partiti che avevamo definito i “repubblicani” e i “democratici”. Fra i primi, in leggero calo Likud-Beytenu, in ascesa alla sua destra il più naturale degli alleati politici, Habayit Hayehudí. E a destra della destra, Otzmà LeIsrael. L’alleanza tattica Netanyahu-Liberman non è molto piaciuta, ma tutti capiscono che è essenziale per vincere le elezioni e riottenere il mandato di premier. Al centro-centrosinistra, modesti trasferimenti di preferenze dai Laburisti alla diaspora centrista, un giorno Yair Lapid, l’indomani Tzipi Livni, e a Merez. Riuscirà Kadima a superare la soglia di ammissione alla Knesset? L’agenda elettorale sicurezza-difesa-uomo-forte escogitata da Bibi e dai suoi consiglieri è riuscita efficacemente a cancellare dalla campagna elettorale le problematiche socioeconomiche, quando è ben noto che le elezioni sono state anticipate per evitare una dolorosa manovra finanziaria che si imporrà comunque immediatamente dopo il voto ed entro giugno. Analisti e siti elettronici evidenziano con euforia il ruolo “trasversale” dei “religiosi” nel futuro parlamento, ma ignorano il fatto che a causa della sballata e autolesiva legge elettorale israeliana gli abitanti di Giudea e Samaria (meno del 5% della popolazione totale) avranno in parlamento per lo meno il 10% se non il 15% dei seggi. Alle distinzioni primordiali (Haredim, Arabi, Religiosi), preferiremmo il confronto fra le idee e la visione di una società civile che non è esclusivamente delimitata dal Mar Mediterraneo e dal Fiume Giordano.
Sergio Della Pergola, Università ebraica di Gerusalemme
(17 gennaio 2013)