Qui Roma – Georges Bensoussan presenta alla Sapienza lo studio dello sradicamento degli ebrei dai paesi arabi

“La memoria contro la storia: la fine degli ebrei nel mondo arabo (XIX-XX secolo)”. Questo il tema che sarà oggi sviluppato all’Università Sapienza di Roma nel corso di un convegno promosso dal Dipartimento di Storia, Culture e Religioni e coordinato dalla professoressa Anna Foa. All’incontro, che si aprirà alle 16.30 nell’aula di studi storico-religiosi della Facoltà di Lettere e Filosofia, interverranno Georges Bensoussan, Luigi Goglia e Lucetta Scaraffia.

“La memoria contro la storia: la fine degli ebrei nel mondo arabo (XIX-XX secolo)”. Questo il tema che sarà oggi sviluppato all’Università Sapienza di Roma nel corso di un convegno promosso dal Dipartimento di Storia, Culture e Religioni e coordinato dalla professoressa Anna Foa. All’incontro, che si aprirà alle 16.30 nell’aula di studi storico-religiosi della Facoltà di Lettere e Filosofia, interverranno Georges Bensoussan, Luigi Goglia e Lucetta Scaraffia. Occasione della tavola rotonda è la presentazione dell’ultimo lavoro dello storico francese, responsabile editoriale del Memoriale della Shoah di Parigi, che in Juifs en pays arabes: le grand déracinement 1850-1975, edito da Tallandier, ricostruisce magistralmente e con parole sofferte la scomparsa di un mondo vittima di orrori e persecuzioni indicibili.
Proponiamo di seguito uno stralcio del libro pubblicato su Pagine Ebraiche, luglio 2012.

Degli 850 mila, un milione di ebrei che vivevano nel paesi arabi nel 1948, non ne restavano che 25 mila nel 1976 (e per la maggior parte in Marocco). Nello stesso lasso di tempo, lo Stato di Israele ne aveva accolti 600 mila. E’ possibile separare la componente ebraica dei paesi arabi dalla loro storia generale? E cedere alla tentazione di fare storia in maniera lacrimosa riducendo questo passato a un cumulo di sofferenze, come se non fossero mai esistiti anche “lunghi periodi di tranquillità, di prosperità, di gioie, di cui testimonia lo studio dell’universo culturale ebraico”? Gli ebrei non sono soggetti passivi di fronte alla Storia. Considerare la violenza della componente araba come unica responsabile della fine di queste comunità equivale a ignorare la loro evoluzione interna, che da molto tempo le ha allontanate dalla maggioranza araba e musulmana. Focalizzando l’attenzione sul fattore ebraico, faceva un tempo rimarcare lo storico degli ebrei del Marocco H. Z. Hirschberg, si ricava l’impressione che in Marocco, per esempio, gli ebrei avessero sofferto principalmente a causa della crudeltà del sultano. Che fossero stati i soli a essere pesantemente tassati. Che solo le donne ebree sarebbero state vittime dei suoi soldati. Ora, lo si sa bene, alla svolta del XX secolo, tutta la popolazione del Marocco soffriva della semianarchia allora dominante. Ma dato questo per acquisito, distinguo fondamentale, gli oppressi musulmani non rappresentavano né una minoranza né dei discriminati dhimmi. Al momento di smarrirsi, gli ebrei arabi si sono contati, riconosciuti, ritrovati e costituiti in vera minoranza, come se la sparizione annunciata avesse affrettato la presa di coscienza di un destino comune già avviato col nazionalismo arabo, con la fine del colonialismo e con la distruzione degli ebrei d’Europa. Nel 1942 viene pubblicato in Egitto l’Annuario degli ebrei d’Egitto e del Medio Oriente, una lista di 150 nomi che raccoglieva notabili provenienti dalle comunità caraite, sefardite e aschenazite. Per la prima (e l’ultima) volta riuniti. Se questo mondo sembra aver perduto corpi e beni con il conflitto arabo- israeliano, in realtà il naufragio era avvenuto molto prima, quando le società ebraiche si erano scontrate con l’arcaismo del mondo arabo da cui si sentivano sempre più lontane a causa dell’alfabetizzazione, della modernizzazione, persino una ancora timida occidentalizzazione. Tanto più che man mano che progrediva la sua emancipazione, l’esistenza ebraica era vista dal nazionalismo arabo come un “impedimento d’essere”. “Perché non appena si prende l’abitudine di misurarsi con gli altri – scriveva Jean- Jacques Rousseau – di portarsi al di fuori di sé per attribuirsi il primo e miglior posto, è impossibile non prendere in antipatia tutto quello che ci sorpassa, tutto quello che ci ridimensiona, tutto quello che ci comprime, ogni elemento che essendo qualcosa ci impedisce di essere tutto”. Sfrondare dalla storia tutto quello che non le appartiene: bisogna tenere in mente questa preoccupazione per raccontare gli ultimi ebrei in terra araba. Guardando alle persone senza un nome e ai luoghi oscuri, ai cammini dimenticati, ai sentieri laterali e trascurando la strada maestra delle evidenze: “Onorare la memoria dei senza nome è un compito più arduo che onorare quella delle persone celebri. L’idea di costruzione storica si consacra a questa memoria degli anonimi”, annotava Walter Benjamin nel 1940 in una delle sue ultime lettere. Tutta la scrittura della Storia che ambisce a dare vita ai senza voce è una scrittura di sé, così come la componente di sé indicibile e senza voce che mette in luce l’investigazione dei mondi scomparsi. Ma il creatore non ha da essere trasparente, né rispetto agli altri né ai propri occhi. Come negare la propria impronta della comune umanità sarebbe equivalente a ridurre il proprio racconto alla propria identità. Non si tratta quindi né di piagnucolare, né di maledire, né di ritrovarsi nella nostalgia di una mitologica intesa cordiale. Ma solamente di comprendere. E di intendere queste violenze che ci hanno negato per quello che davvero furono. E, seminando parole sugli esili temuti, dominare quello che un tempo ci aveva schiacciati. (…)
Aveva appoggiato la sua fronte sul gelido riquadro del vetro. Il giorno si levava, bagnato, grigio, sporco. Era settembre, a Parigi, all’incrocio delle vie Louis-Bonnet e de la Présentation. A Belleville. Il dolore prendeva il sopravvento. Le tornavano in mente tutte le sofferenze del mondo, le perdite e le assenze divenute sparizioni. I mandorli di Tlemcen, il mare guardato dalle colline più alte, le albe leggere in primavera, gli alberi di albicocche nel giardino di famiglia, la tomba di suo padre. Tutto. Il mondo inghiottiva in un soffio la sporcizia della terra e lasciava emergere queste sublimi delizie sospese nel tempo, l’alba d’estate al suo villaggio, il crepuscolo a Ennaya, e tutti i volti, gli scomparsi, gli inghiottiti del mondo, coloro di cui nessun Memoriale mai porterà il nome. La fronte premuta al riquadro del vetro, lasciava il dolore sciogliersi in lei. Aveva 36 anni. Era mia madre. E’ da quella mattina in cui ho letto sul suo viso l’amarezza dell’esilio che è cominciata la mia vita adulta. A quella assente, in Francia, a quella svanita in Marocco, alle mie madri, è dedicato questo libro.

Georges Bensoussan

da Juifs en Pays Arabes – Le grand déracinement 1850-1975 – Tallandier
Pagine Ebraiche, luglio 2012

Versione italiana di Ada Treves

(17 gennaio 2013)