Qui Washington – Verso l’Inauguration Day “Così ho lavorato per la vittoria di Obama”

Sgombriamo subito il campo da ogni dubbio: vengo da una lunga esperienza nell’attività di advocacy per Israele, prima all’università (UC Berkeley) e, più di recente, alla Jewish Community Relations Council of Greater Pittsburgh. A Berkeley sono stato tra i primi architetti della sconfitta del progetto di regolamento universitario per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele (BDS), che era stato proposto durante il mio ultimo anno di università. Sono anche un supporter di Obama sin da quando era ancora senatore. Probabilmente avrei lavorato per lui già nella campagna del 2008 se fossi stato laureato. Quando venni a sapere che cercava giovani per la sua campagna, inviai il mio curriculum. Mi sentivo quasi obbligato ad aiutarlo se volevo che il mio paese e il mondo intero rimanessero posti rispettabili. Molto è stato detto della precisione e dell’instancabilità della campagna di Obama. In realtà ho scoperto ben presto che l’organizzazione era di tipo quasi militare, con tutte la rigidità e la gerarchia che questo implica. Come stagista, rappresentavo una via di mezzo fra i volontari ordinari e gli organizzatori sul campo (la più bassa posizione retribuita), responsabili della squadra di un quartiere. Io tenevo in ordine l’ufficio e dovevo assicurarmi che tutti i volontari fossero impegnati secondo i turni stabiliti in visite porta a porta, telefonate, registrazione degli elettori, le tre attività che costituivano il pane quotidiano della campagna elettorale, e anche il mio. Da un punto di vista demografico, noi stagisti eravamo quasi tutti tra i 20 e i 25 anni. I volontari invece erano tipicamente di mezza età, a volte oltre. Molti avevano qualche precedente esperienza da attivisti ma non tutti. Mentre era senz’altro efficace e gestita in modo rigoroso, con obiettivi e punti di riferimento chiari, la campagna aveva uno stupefacente punto debole: l’inflessibilità. Ho visto molti stagisti e responsabili di quartiere lamentarsene in privato. Un buon esempio di questa inflessibilità è stato il fatto che, dopo la mia insistenza durante i colloqui, hanno accettato di assegnarmi a un quartiere con una presenza ebraica significativa, un’area che poteva essere adatta alla mia esperienza. Il mio background nella advocacy per Israele tuttavia apparentemente non valeva abbastanza per essere utilizzato nel principale quartiere ebraico di Pittsburgh, Squirrel Hill, dove invece sono stati inviati stagisti che non avevano alcuna esperienza nei rapporti con la comunità ebraica. A proposito del presunto passo indietro nel sostegno a Israele in seno alla sinistra americana, pensando alla campagna appena conclusa, mi viene in mente un episodio che vale la pena di menzionare. Durante il training autunnale degli stagisti, ci divisero in piccoli gruppi e ci invitarono a condividere le nostre precedenti esperienze nell’attivismo politico. Il silenzio e gli sguardi di disagio quando finii di raccontare la mia storia furono eloquenti. Una ragazza che sovrintendeva all’attività suggerì, piena di buona volontà, che il mio background avrebbe potuto essere utile per convincere qualche elettore repubblicano. Con educazione, le ho ricordato che Obama (a dispetto di ciò che sostiene la destra) è lui stesso, nelle parole e nei fatti, favorevole a Israele tanto quanto lo è qualsiasi repubblicano, e che se lei non condivideva questi sentimenti, si trovava in forte contrasto con l’uomo nel nome e per conto del quale stava lavorando. Tuttavia, ciò che ho osservato in un lustro con un piede nell’attività di advocacy per Israele e un altro nell’ambiente del partito democratico, è che lo sconforto che alcuni democratici, principalmente i più giovani, hanno verso la politica americana su Israele, non è semplicemente sintomo di un problema pervasivo nell’ambito della sinistra americana, ma di sottaciuta guerra all’interno del partito. C’è una crescente incrinatura tra la sinistra americana tradizionale e una piccola ma rumorosa e apparentemente crescente fazione che vota e si autoidentifica con i democratici, ma è ideologicamente più vicina alla sinistra radicale, con un orecchio rivolto alla narrativa palestinese in Medio Oriente. Che il partito democratico continui in futuro a nominare moderati come Obama alla presidenza non è una certezza. Io prego che lo faccia. La notte della vittoria, quando arrivò, fu un momento euforico, che non dimenticherò facilmente, fu qualcosa come assistere di persona alla vittoria della propria squadra del cuore al Super Bowl… Sono cresciuto come persona anche solo essendo lì, vedendo persone di ogni provenienza riunirsi con emozione e orgoglio. Credo che questo sia simbolico di ciò che Obama rappresenta davvero. La speranza. L’Inauguration Day (previsto per il 21 gennaio ndt), tra l’altro, è un momento per cui sono estremamente emozionato. A differenza di quattro anni fa, quando dormii tutto il giorno, distrutto com’ero dalle lunghe nottate di studio, stavolta ho intenzione di fare il tifo per il presidente in televisione. Ho in programma di organizzare qualcosa con i miei colleghi, un Inauguration Party. È un altro punto a favore del lavorare per una campagna: la nascita di nuove amicizie. L’Inauguration Day è centrale nella politica americana perché è il modo in cui simbolicamente e orgogliosamente incoroniamo un re. Una cerimonia insomma, in cui il popolo americano offre con amore il suo sostegno a un leader di cui si fida. Arrivare a questo momento dopo aver lavorato per far eleggere Obama è ancora più potente. Mi aspetto che i prossimi quattro anni sotto la guida di Obama renderanno gli americani orgogliosi. Io ho servito il mio paese lavorando per la sua campagna e, nel farlo, so di avergli assicurato un futuro migliore. La devozione del partito repubblicano all’arcaico concetto dell’austerity economica e il suo desiderio di ostacolare un presidente in carica a costo del benessere del popolo degli Stati Uniti è l’unica cosa che temo davvero nei prossimi quattro anni a Washington.

Ariel Kaplan, Obama Campaign – Pagine Ebraiche, gennaio 2013

(20 gennaio 2013)