…medici
Un lungo articolo di Giulio Meotti su Il Foglio sottolinea il rapporto tra i medici nazisti, quelli che hanno fatto le sperimentazioni sugli ebrei nei campi e ancor prima quelle sui disabili in Germania, la cosiddetta operazione T4, e i progressi nel dopoguerra in vari campi della medicina, in particolare la neurologia e la pediatria. Sembra cioè che questi terribili esperimenti, che partivano dal principio che esistono vite indegne di essere vissute, in particolare quelle degli ebrei, dei disabili e dei malati mentali, abbiano portato progressi in campo medico. Come valutare questo conflitto tra medicina ed etica, che rovescia radicalmente non solo i nostri principi morali ma lo stesso giuramento di Ippocrate, ancora alla base della professione medica? In Israele, la rivista Israel Medical Association ha affrontato recentemente il problema a proposito del caso di uno di questi medici, Clauberg, il cui nome è tuttora legato ad una patologia ormonale femminile, chiedendo che almeno il suo nome sia cancellato. Dare il nome ad una patologia è un onore che non merita. Ma i casi sono molto numerosi e il problema, emerso già altre volte in passato, va affrontato alla radice. L’uccisione di malati ed ebrei, gli esperimenti di vivisezione compiuti su di loro, hanno portato realmente a delle scoperte o si sono limitati ad accelerare scoperte che sarebbero comunque avvenute anche senza crimini? E nel caso che la scienza ci dica che davvero la sofferenza e la morte degli uni ha reso più facile il miglioramento della vita degli altri, non sarebbe il caso di ribadire, anche rispetto al passato, i principi inderogabili del rispetto dell’essere umano? Insomma, gli assassini restano tali anche se sono grandi scienziati. Sembra ovvio, ma forse è necessario ripeterlo.
Anna Foa, storica
(21 gennaio 2013)