storia…
Nell’aleftav di domenica scorsa David Bidussa sostiene che “noi oggi abbiamo bisogno di più storia e non pù racconti…”. Anche nella Torah ci viene detto che ricordare gli avvenimenti non può bastare; “…ricorda i giorni passati, cercate di comprendere gli anni dei secoli trascorsi…interroga tuo padre e ti racconterà…” (Devarim; 32, 7), bisogna riflettere su di essi, ponderarli capirne a fondo il significato. Ricordare il passato, ma soprattutto comprenderlo, ci aiuta a mettere a fuoco correttamente gli eventi attuali. Non a caso, Rashì interpreta questo passaggio non tanto come “gli anni dei secoli trascorsi”, ma piuttosto come “gli anni delle future generazioni”, nella convinzione che il futuro sarà tanto migliore quanto meno si dimenticheranno le lezioni del passato. La storia, tuttavia, istituzionalizza il ricordo e con le sue forme di commemorazione spesso monumentalizza e raffredda i sentimenti pretendendo di offrire in cambio un’impossibile obiettività. La memoria ebraica, viceversa, nell’insegnamento specifico della Haggadah di Pesach e del suo racconto intergenerazionale (Shemòt,10; 2) che abbiamo letto all’inizio della parashà dello scorso Shabbat, attualizza l’esperienza dell’Esodo, con la sua dinamica oppressione/liberazione, attraverso la consegna del ricordo dal testo all’individuo, che però agisce in quanto membro attivo di una società. Questo significa inevitabilmente scegliere la strada del raccontare che nel pensiero ebraico vuol dire, tra l’altro, interpretare una memoria che si innesta nel presente che caratterizza una coscienza individuale e il senso di una responsabilità sociale. Si è liberi solo se si ricorda e la dimensione del racconto che è radicata nella memoria diventa in tal senso condizione fondante della propria identità.
Roberto Della Rocca, rabbino
(22 gennaio 2013)