Il kibbutz e il futuro
“Una cooperativa, senza sfruttatori e senza sfruttati. Una comune» L’iscrizione sulla pietra e il patto che suggellava non sono riusciti a celebrare il centenario. In un articolo del 18 gennaio scorso, Davide Frattini descrive con tristezza la fine di un’esperienza esclusivamente israeliana e lo fa con una tale empatia e con una tale sicurezza che decine di amici e conoscenti che hanno visitato Israele e hanno avuto la fortuna di trascorrere persino qualche ora in un kibbuz, mi hanno scritto allarmati e preoccupati. Sasa, il mio kibbuz in Galilea, è un po’ più giovane di Degania: il 14 Gennaio ha compiuto solo 64 anni ma la festa di compleanno la celebreremo fra una settimana e ci saranno, secondo la nostra ben radicata tradizione, canti ebraici e americani (per dare onore ai nostri primi pionieri di Chicago, Milwaukee, New York e dal Canada), brani musicali eseguiti dai ragazzi del Liceo del Kibbuz, dialoghi tratti dall’archivio sulle storie e le avventure dei primi anni e naturalmente una cena sontuosa a base di manicaretti da tutto il mondo cucinati dalle famiglie della comunità secondo la rispettiva provenienza.
Poi la sera si aprirà il Moadon, punto di incontro dei chaverim – i membri del kibbuz e ci saranno i turni alla sala da pranzo, alla mungitura e ai pascoli e molti di questi turni saranno eseguiti anche da studenti che ora vivono a Tel Aviv, a Gerusalemme o a Beer Sheva, da professori che insegnano in qualche università o college in Israele, dal capo della fabbrica e dal segretario del Kibbuz (che è una sorta di sindaco). Questo succede a Sasa, a Bar Am e a Iron, a pochi chilometri da qui, fondati anch’essi nel ’49 che contano circa 200 membri votanti all’assemblea e altri 250-300 persone tra bambini, studenti e ragazzi di leva ma anche a Mishmar HaEmek, un kibbuz vicino a Haifa, che fu fondato nel 1922 da ragazzi del Movimento Hashomer Hazair della Galizia e conta oggi 1170 persone.
E’ vero, molti kibbutzim sono stati privatizzati, sono stati sballottati e travolti da crisi idealistiche e problemi economici, ma da qui a dire che il kibbuz è finito… Sono 80 i kibbutzim che ancora sono completamente comunitari. Frattini riporta una frase di Yossi Sarid: “Non si sono mai più ripresi, malgrado il loro contributo incomparabile alla fondazione e alla difesa del Paese».
Come non si sono mai più ripresi?
Dieci anni fa Sasa era arrivato allo stremo delle forze: le 3000 tonnellate di mele che producevamo, coglievamo e iscatolavamo ogni anno, il latte, tra i migliori di Israele, il cotone e gli agrumi non bastavano per mantenere 80 famiglie. Assemblee su assemblee. 170 milioni di dollari di debiti verso le banche. Pensioni dei membri annullate, ma tutti i giorni ci si incontrava alla sala comune per scambiarsi le idee, si continuava a lavorare di lena. Ogni festa e ricorrenza, perlomeno una al mese (noi ebrei siamo stati premiati dal Signore con tante feste da riguardare, forse per compensare tutte le vicissitudini che sconvolgono a volte le nostre vite e per darci la voglia di andare avanti!!!) venivano celebrate con spettacoli, canti, danze, organizzati dai membri del kibbuz di tutte le età. Non ci siamo dati per vinti.
Siamo riusciti a ritirarci su dalle ceneri come l’araba fenice! Nel giro di pochi anni le due fabbriche: Plasan di blindatura di veicoli contro il terrorismo e SasaTech di materiali di pulizia ecologici, ci hanno permesso di ricreare il futuro comune: ingrandire la sala da pranzo e attrezzarla contro i terremoti (siamo in zona sismica oltretutto), ristrutturare tutti gli spazi comuni, allargare il cerchio degli studi fino al master e al dottorato, creare un asilo sperimentale musicale, aggiungere nuovi indirizzi al Liceo Anna Frank: che ora offre ai giovani dell’Alta Galilea anche l’opportunità di una maturità in musica e teatro oltre all’artistica, tecnologica, classica, fisica e matematica.
I nostri figli vogliono provare a mettersi in gioco e scegliere il loro futuro: noi abbiamo lasciato la città, la famiglia, un posto sicuro per seguire un ideale…I giovani hanno il diritto di scoprire da soli il valore del tesoro nel quale sono nati e cresciuti. Tutto il buono e il bello che hanno respirato fin dai primi momenti di vita. Spesso seguono il compagno o la compagna che hanno conosciuto durante il servizio militare o durante gli studi e si sistemano in città. Non sempre questo tipo di vita è adatto a tutti. Anche per la mia famiglia, tanti anni fa, era incomprensibile che io lasciassi Roma, una casa dove c’era di tutto e molto di più, per andare a correre su un trattore e cogliere mele e kiwi, a fare teatro con ragazzi ebrei, arabi, disabili, disagiati, anziani e di culture diverse…
Non mi preoccupa il fatto che non c’è nessun politico che viene dalla società kibbuzzistica, alle elezioni. I kibbutzim sono l’1 per cento della società israeliana. Non abbiamo bisogno a tutti i costi di politici! Sarei piu preoccupata se non ci fossero piu’ educatori, artisti, professori, fisici, agricoltori, terapisti, ingegneri…
Tranquilli! Siamo ancora qua!
Discutiamo a tutte le assemblee, a volte riusciamo a convincere gli altri e a volte no. Ma questa è la democrazia. E finché ci saranno interrogativi, dibattiti e votazioni c’è la speranza che si possa cambiare qualcosa…e se non è in questo giro, basta aspettare!
Angelica Edna Calò Livne
(23 gennaio 2013)