Israele al voto – Le prospettive, tra sorpresa e ingovernabilità

“È nudo”. A fornire, con tagliente ironia, una fotografia dell’esito di quelle che dovevano essere le elezioni più scontate della storia d’Israele è il grande vignettista Michel Kichka di cui Pagine ebraiche di febbraio attualmente in distribuzione presenta il nuovo libro “Ce que je n’ai pas dit à mon père” (Seconda generazione. Quello che non ho detto a mio padre – Dargaud). Ispirandosi alla favola del re nudo, Kichka ritrae il vincitore annunciato Benjamin Netanyahu, uscito ridimensionato dalle urne, con l’immagine del suo alleato Avigdor Lieberman a tentare di nascondere la notizia della sua debolezza. Nel frattempo i tre leader di centro-sinistra, Shelly Yachimovich del Labor, Yair Lapid di Yesh Atid e Tzipi Livni di Hatnua, gridano la verità. A reggere il mantello di Netanyahu, il suo ex pupillo e ora rivale (ma probabilmente anche indispensabile alleato) Naftali Bennett di Habayit Hayehudi che svela invece la sua prospettiva “E’ nullo”. A indicare come, nel fare da puntello a una eventuale coalizione di destra, rappresenterà un forte condizionamento per Netanyahu.
Già perché mentre sono state scrutinate oltre il 99 per cento delle schede (risultati complessivi Likud-Beytenu 31 seggi, Yesh Atid 19, Labor 15, Shas e Habayit Hayehudì 11, United Torah Judaism 7, Hatnua e Meretz 6, i tre partiti arabi Ta’al, Balad e Hadash 5, 4 e 3, Kadima 2), il risultato è un sorprendente pareggio. E dietro la notizia che, nel complesso, le formazioni che vengono considerate di destra (inclusi i partiti religiosi) e quelle considerate di sinistra (inclusi i partiti arabi) hanno ottenuto 60 seggi ciascuna, si cela lo spettro dell’ingovernabilità, che incombe sui tentativi già in corso di formare alleanze di governo. Un processo che formalmente potrà iniziare soltanto fra una settimana, quando gli esiti ufficiali verranno comunicati al presidente Shimon Peres, il quale, salvo ulteriori colpi di scena, affiderà l’incarico a Netanyahu .
Già oggi è tuttavia possibile tracciare alcuni punti fermi: lo straordinario successo di Yair Lapid, che è andato oltre ogni aspettativa, l’insuccesso di Netanyahu, che se nella precedente Knesset poteva contare su 42 parlamentari tra Likud e Beytenu, oggi ne ha soltanto 31, l’affermazione, anche se meno potente delle aspettative, del punto di riferimento politico degli insediamenti Habayit Hayehudì.
“La mia previsione è una piattaforma formata da Likud-Beytenu, Yesh Atid e Habayit Hayehudì, cui eventualmente potrebbe aggiungersi Kadima, e secondariamente Shas – spiega Sergio Della Pergola, demografo dell’Università di Gerusalemme – Una coalizione del genere avrebbe i numeri per governare dal punto di vista aritmetico. La verità è che questa legge elettorale è oggi drammaticamente inadeguata per un paese avanzato, con problemi complicati da gestire che richiedono un governo stabile. Anche se storicamente ricordiamo un’altra situazione simile, quando nel 1984 Yitzhak Shamir e Simon Peres diedero vita a un governo di coalzione Labor-Likud, basato su un patto di ‘rotazione’: fu primo ministro Peres per due anni, poi toccò a Shamir”. La difficoltà di Netanyahu viene messa in luce dal professore anche sotto un altro punto di vista “Per arginare l’emorragia dei voti verso Bennett, Bibi ha presentato candidati ancora più a destra di lui. Per di più, nell’ambito dei 31 seggi conquistati, solo 20 fanno riferimento al Likud, gli altri sono di Yisrael Beytenu. E non è escluso che presto o tardi decidano di dare nuovamente vita a una formazione parlamentare autonoma, come aveva promesso Lieberman prima delle elezioni”. “Penso che i più clamorosi sconfitti di questa tornata elettorale siano i sondaggisti – fa notare il semiologo Ugo Volli – Questo è un segno dell’incredibile vitalità della democrazia israeliana, che rifiuta di farsi ingabbiare in schemi precostituiti. Yair Lapid ha condotto una campagna elettorale un po’ obamiana, vicina alle esigenze di quella classe media laica e moderna di tipo americano. Il suo grande risultato rappresenta un’affermazione dei temi sociali ed economici come interesse forte degli israeliani, a discapito della scelta di Netanyahu, evidentemente sbagliata da un punto di vista strategico, di puntare sulla politica estera, e di quella di Tzipi Livni di spendersi sui negoziati di pace. Emerge però anche una profonda polarizzazione del paese”.
“Ciò che caratterizza queste elezioni in modo abbastanza trasversale è l’esigenza di andare oltre determinate rivendicazioni dell’ebraismo haredì. Questo è a mio parere il punto in comune tra Yair Lapid e Naftali Bennett, i leader usciti vittoriosi dalle urne: pur nella loro estrema diversità, laico Lapid e datì Bennett, entrambi hanno fatto un punto della loro offerta politica la volontà di arruolare nell’esercito anche i haredìm e di ridimensionarne l’influenza nel paese” il commento della giornalista Anna Momigliano.
Nonostante l’estrema frammentazione del Parlamento un dato emerge in modo positivo, secondo Sergio Della Pergola: con tutte le sue debolezze, il sistema israeliano è stato capace di produrre due leader nuovi, giovani e preparati, al di là di come la si pensi a proposito delle loro idee. Anche se, denuncia il demografo “dietro al volto fresco di Bennett, si nascondono candidati con posizioni estremiste e impresentabili, complice la legge elettorale dalle liste bloccate. Bisognerà vedere se Bibi dimostrerà di essere un bravo politico, capace di mantenere in piedi un governo eterogeneo di fronte alla sfide che lo attendono, prima di tutto una dolorosa legge di bilancio da approvare entro giugno – conclude – La mia previsione è che questa Knesset non durerà quattro anni”.

Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked

(23 gennaio 2013)