Storia di un popolo
Questa è la storia di Betty Schimmel, che a quindici anni si è ritrovata ad attraversare l’Ungheria in mezzo a tormente di neve, per approdare in una baracca di Buchenwald da cui il nemico sperava di non farla più uscire. La storia di sua madre, che con le narici piene di fumo di anime innocenti, ripeteva ogni sera ai propri figli le parole dello Shemah. Proclamando con le ultime forze la propria fede nel D-o di suo padre. Questa è la storia di Emma Tedeschi, un’ebrea italiana che nell’ottobre del 1943, sentendo giungere il proprio momento, prese carta e penna e scrisse. “Figli miei, considerate queste parole il mio testamento. Vi scongiuro, sebbene vediate intorno a voi solo buio e dolore, non desistite. Non concedete al nostro nemico ciò per cui ci sta combattendo. Non rinunciate alla vostra fede, rimanete attaccati all’ebraismo e al suo modo di vivere. Solo così, ne sono sicura, usciremo vivi da questo inferno”. Questa è la storia di Elie Wiesel, che perse tutta la propria famiglia tra Auschwitz e Buchenwald. La storia di un uomo che rinnegò D-o, con tutta la rabbia che si trovava in corpo. La nascita di suo figlio gli fece ricordare il dovere della circoncisione. E lentamente, si insinuò in lui una risoluzione. “Non rinnegherò mai l’eredità dei padri dei padri. Non posso rompere la catena iniziata con il grande Rashi, Rabbi Shlomo Itzchaki, mio antenato, nè tradire la fiducia che gli avi hanno in me riposto. Continuerò a protestare contro D-o, come il profeta Geremia nelle sue Lamentazioni, ma anche a invocarLo e ad amarLo.” Questa è la storia di un popolo che più di ogni altro è stato messo alla prova. Di un insieme di genti che nel quindicesimo secolo scavava tunnel segreti per potere pregare D-o nella lingua dei propri genitori. Di anime sperdute che nel 1942 cercavano disperatamente delle patate. E invece di nutrirsene per poter durare ancora un solo giorno, le incidevano meticolosamente. Per potere accendervi i lumi di Hanukkah, festa imminente. Questa è la storia di uomini, donne e bambini che nel corso dei secoli non hanno desistito. Ma hanno continuato a combattere il buio più profondo con circoncisioni clandestine, sabati osservati di nascosto e preghiere al proprio Creatore. Ani Maamin, io credo in te, D-o dei miei padri, così cantavano pur sentendo la fine vicina. Sapendo che l’ebreo è in grado di dare vita a un’eco nell’eternità solo rimanendo attaccato con pensiero, parola ed azione alla religione tramandata dai propri antenati con orgoglio e ostinazione.
Gheula Canarutto Nemni
(24 gennaio 2013)