Qui Venezia – “Una memoria del presente”

A coronamento della manifestazioni per il Giorno della Memoria si è svolta questa mattina la cerimonia cittadina al teatro Goldoni con gli interventi del sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, e del presidente della Comunità ebraica di Venezia, Amos Luzzatto. A seguire lo spettacolo “Shalom Aleikhem” di Fabrizio Frassa, atto unico liberamente tratto dalla vita di Giuseppe Jona. Riportiamo il discorso tenuto dal presidente Luzzatto.

Sarei stato tentato di intitolare questa ricorrenza come quella della Memoria del presente.
Questo, non tanto per colpire il pubblico con una trovata retorica, quanto per impegnarci, tutti assieme, in una responsabile riflessione. Che cosa significa questa parola, “memoria”?
Memoria significa rivivere criticamente un passato di sofferenza, di crudeli discriminazioni e di persecuzioni, valutato in un tempo diverso quando una società che si spera diventata più matura e più civile, sia divenuta capace di giudicare le tensioni, i conflitti, le crudeltà che hanno imperato in quei tempi, tanto diversi, fortunatamente non più attuali ma ancora molto vicini a noi.
Vorremmo tanto che fosse proprio tutto così, ma qualcosa non quadra. Prenderei le mosse da una parola dei nostri tempi, la globalizzazione, che può esprimere un auspicio ma anche una minaccia: da un lato l’auspicio di un mondo unitario, sottoposto alle stesse regole, con società che riconoscono e difendono gli stessi diritti, che prosperano rispettando e valorizzando le svariate tradizioni culturali, religiose, politiche dei gruppi umani che le compongono; ma potrebbe anche significare la permeabilità di tutte le società umane a pregiudizi, alla ricerca spasmodica di diversità vecchie e nuove, di quanto possa rendere gli esseri umani che vivono in uno stesso territorio ostili gli uni agli altri, estranei gli uni agli altri, o addirittura nemici da isolare o da espellere.
E’ la diversa lettura di una medesima parola, la opposta interpretazione di un medesimo fenomeno che fanno nascere una tensione che minaccia di caratterizzare tristemente la stessa nostra vita quotidiana.
Non basta mantenere viva la memoria del passato: bisogna essere vigili al presente.
Sappiamo bene che stiamo vivendo in una delle fasi più difficili della nostra Storia. Difficili sul piano economico e sociale, difficili per l’invecchiamento della popolazione e difficilissime per i giovani, oggi più che mai alla ricerca di attività stabili e gratificanti che non riusciamo a creare per loro; difficili sul piano internazionale, dove spesso si scontrano Governi o popoli che rivendicano diritti riconosciuti ma che appaiono incompatibili fra di loro, mentre altre forze economiche, militari o altre,utilizzano strumentalmente queste tragedie per meri calcoli di potere.
E sappiamo che frammezzo a queste tensioni vecchie ideologie razzistiche che ci illudevamo fossero ormai solo un monito del passato, tornano alla ribalta, anche in forme relativamente nuove. Circolano ancora, certo, i Protocolli dei Savi anziani di Sion, già famigerato falso della polizia zarista ed oggi ancora strumento di agitazione politica, certo, con i necessari aggiornamenti; entrano subdolamente ma anche alla luce del sole nelle pieghe della vita sociale, nelle curve degli stadi o nell’uso volutamente improprio della parola “ebreo”; per non parlare di albe o di tramonti apertamente filo-nazisti che stanno ritornando alla ribalta.
E’ vero che noi ebrei non siamo più l’unico obiettivo da eliminare; del resto, non siamo stati soli neppure nei campi di sterminio; anche oggi vi sono accanto a noi altri, fratelli di discriminazione e di sofferenza: i cosiddetti “extracomunitari” in primo luogo. Ma questo non è consolante, è addirittura maggiormente preoccupante.
Ecco perché ho coniato questa denominazione di “memoria del presente”.
Questa pone a noi compiti specifici, che non si esauriscono però nelle pur doverose cerimonie di commemorazione. Fra i compiti specifici menzionerei per prima cosa lo sforzo di una educazione alla democrazia, che significa rendere edotti, partecipi e determinanti – anche nei controlli – tutti i cittadini.
Questo incontro odierno deve rappresentare un impegno di tutti noi: impegno a essere presenti con il nostro specifico contributo di identità e di fraternità. Basta con le vecchie domande su che cosa siamo prima e che cosa siamo dopo.
Siamo ebrei italiani, felici di poter offrire a tutti la nostra esperienza storica, religiosa e culturale, con i suoi dilemmi e con le sue sintesi. Veniamo da un glorioso passato che unisce l’amore e la fedeltà per la Terra dei Patriarchi e dei nostri avi, alla quale auguriamo un avvenire di pace per tutti i suoi abitanti a quello per l’Italia, per la quale tanti dei nostri fratelli hanno sacrificato lavoro e lotte e anche la vita per vederla libera, civile, solidale con tutti i suoi figli, senza alcune preclusioni. Sia dunque questa giornata non tanto una ricorrenza doverosa ma formale quanto un momento di impegno. Siamo ancora qui, in questa società, per costruirla, assieme a tutti, più fraterna, più solidale, più democratica.

Qui Venezia – Dopo i Testimoni

Da quando si è cominciato a parlare della Shoah, sono sempre state prese in considerazione le vicende personali, le testimonianze, ma cosa succederà quando anche l’ultimo dei testimoni sarà scomparso? Questa la riflessione alla base dell’evento svoltosi all’Ateneo Veneto “Come ricordare? Una riflessione a partire dal libro di David Bidussa Dopo l’ultimo testimone” a cui sono intervenuti Andreina Lavagetto e Simon Levis Sullam, introdotti da Renato Jona.
Il Giorno della Memoria, istituito il 20 luglio 2000 come occasione di riflessione sulla tragedia, denuncia a oggi una crisi: proposta come male assoluto, la Shoah si presenta non come evento storico, ma come dato etico-spirituale, come elemento intangibile e astratto. Se è vero che il contenuto di questa giornata si è definitivamente esaurito è pur vero che una delle ragioni è l’aver voluto per motivi di convenienza focalizzare l’attenzione sulla tragedia specifica degli ebrei, senza pensare che il Giorno della Memoria potesse essere un’occasione di riflessione pubblica non solo sull’antisemitismo, bensì sul razzismo in tutte le sue declinazioni.
La memoria di oggi è costruita sull’offerta delle voci testimoniali, che lentamente vanno scomparendo e su una cospicua produzione editoriale e documentaristica. La prima battaglia gnoseologica da fare è quella di riuscire ad indagare gli eventi passati attraverso il mestiere di storico, fatto di scavo nei documenti, di ricostruzione della storia nella forma più dettagliata possibile, tenendo conto però che in definitiva nessun documento fornirà mai una versione totalmente esaustiva dell’argomento.
Un’altra criticità del giorno della memoria è che non risulta essere un evento emblematico che spinga a una riflessione sulle responsabilità italiane, ma piuttosto l’ennesimo paradigma del falso mito che vede il buon italiano contrapposto al terribile tedesco. Nessun passo avanti è stato fatto negli anni affinché venisse riconosciuta la connivenza e il diretto coinvolgimento della società italiana nella campagna discriminatoria successiva all’emanazione delle leggi razziali. Norme, che ricordiamo, furono redatte da giuristi che aderirono volontariamente all’ideologia fascista.
Il risultato di un atteggiamento di pacificazione nazionale nel dopoguerra e la scelta di un oblio politically correct che deresponsabilizzasse l’italiano medio, vittima inconsapevole di un regime che non riconosce più come suo, ha portato oggi a quei fenomeni di rielaborazione storica, di semplificazione che permettono, ad esempio, la messa in opera di monumenti dedicati a gerarchi fascisti, atti che sarebbe impensabile in qualsiasi altro paese direttamente coinvolto nel conflitto mondiale.
La società tedesca, al contrario di quella italiana, è riuscita a superare il velo di vergogna e raccapriccio. Ha reso palese e manifesto non solo il ricordo delle vittime, ma anche dei carnefici, attuando un’analisi attenta dei fenomeni politici e sociali che hanno portato all’ideologia nazista, senza minimizzare le proprie responsabilità alla luce delle prove documentali e testimoniali che via via negli anni sono state presentate.
La fase che ci apprestiamo ad affrontare, definita di postmemoria, non è che un’opportunità: un’occasione di aprire una nuova fase di analisi su come si dovrà da oggi in poi veicolare la memoria, affinché sia la coscienza viva della storia di tutti e non diventi uno squallido rituale di convenienza che coinvolge minoranze estranee alla collettività.

Michael Calimani

(27 gennaio 2013)