La parola “razza”
Mantenendo fede a una promessa fatta da Hollande in campagna elettorale, il governo di Parigi si appresta a sopprimere, dalla Costituzione, il riferimento alla razza, che compare nell’articolo 1, laddove si garantisce che la Repubblica assicura l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, “senza distinzione di origine, di razza o di religione”. L’articolo era stato formulato, com’è evidente, per esprimere il totale rifiuto, da parte della rinata democrazia, delle aberranti teorie razziste che avevano segnato la tragica esperienza dell’invasione nazista e del regime di Vichy, e come tale ha sortito i suoi effetti in tutti gli anni del dopoguerra. Ora, però, si ritiene che la coscienza civile sia maturata, e che si sia radicata la convinzione, nella grande maggioranza dei cittadini, che il concetto di ‘razza’ sia una pura invenzione, funzionale esclusivamente alla discriminazione e alla sopraffazione. Tale termine, perciò, non meriterebbe cittadinanza nella Costituzione di un Paese democratico, che non solo è tenuto a non praticare distinzioni di tipo razziale, ma anche a non mostrare di credere che le razze esistano.
La questione, com’è evidente, dovrebbe riproporsi anche per la Costituzione italiana, che, all’art. 3, stabilisce il principio di uguaglianza “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. L’inserimento di un esplicito riferimento alla ‘razza’ fu oggetto, tra i costituenti, di un approfondito dibattito, giacché, già allora, alcuni sostenevano che esso fosse inopportuno, proprio perché mostrava di dare credito all’esistenza dell’ambiguo concetto. Prevalse però la decisione affermativa, in base al ragionamento che la mancata menzione, dopo anni di propaganda razzista, potesse essere interpretata in senso negativo, ossia come una ritrosia a prendere nettamente posizione contro il razzismo.
Che fare, dunque? A distanza di 65 anni dall’introduzione della nostra Costituzione, il riferimento alla razza va lasciato, o, come in Francia, anche da noi va abolito? Si possono, al riguardo, formulare valutazioni diverse. Personalmente, riterrei che la scelta andrebbe fatta tenendo conto essenzialmente di due considerazioni:
– Che le razze non esistano non è tanto vero, e non è vero che farvi riferimento sia automaticamente segno di razzismo. Le differenze somatiche tra i popoli sono spesso evidenti, e negli Stati Uniti, per esempio, il riferimento alla “race” è considerato normale e indispensabile a fini di identificazione, di sicurezza ecc. Ma in Europa il termine ‘razza’ è diventato, come disse Rosellina Balbi, una “parola malata”, perché il suo uso è stato prevalentemente falso e violento, tanto da renderla un ricettacolo di odio e disprezzo.
– Abolire il termine ‘razza’ – per mostrare il ripudio non tanto del concetto in sé, ma, appunto, della sua accezione distorta e maligna – presuppone una grande fiducia nella maturazione della coscienza civile del Paese. Se si ritiene che il rifiuto del razzismo sia ormai un dato acquisito e generalizzato, si può anche proporre l’eliminazione del riferimento dalla Carta Costituzionale. Ma se si pensa, invece, che il razzismo sia ancora un fenomeno tristemente diffuso e pericoloso, tale modifica potrebbe anche apparire incauta.
Francesco Lucrezi, storico
(6 febbraio 2013)