Dibattito sui diritti civili alle coppie di fatto Quelle inauspicabili convergenze

Matrimonio omosessuale, omoparentalità, adozioni. Temi di grande attualità cui il numero di febbraio di Pagine Ebraiche in circolazione dedica quattro pagine speciali. A confronto le voci di un rabbino e di tre intellettuali. “Nel caso dei diritti degli omosessuali – scrive Anna Segre – i rabbini potrebbero essere spinti dalla tradizione a prendere posizioni che potremmo definire di chiusura, ma esistono anche evidenti ragioni storiche (pensiamo per esempio alla persecuzione comune da parte dei nazisti) e ideologiche (abbiamo imparato che la negazione dei diritti di qualcuno è pericolosa per tutti) che dovrebbero indurre invece il mondo ebraico a pronunciarsi nella direzione opposta. Da qui deriva forse l’imbarazzato silenzio dell’ebraismo italiano su questi temi”.

Ho trovato l’articolo di Ernesto Galli Della Loggia pubblicato sul Corriere della Sera del 30 dicembre 2012 molto interessante ma anche profondamente disturbante, anzi, interessante proprio perché disturbante: non intendo soffermarmi tanto sul tema di fondo (la rivendicazione orgogliosa del diritto di negare i diritti di qualcun altro, nel caso specifico delle persone omosessuali), già di per sé molto discutibile, quanto su un altro aspetto, forse in sé secondario ma che ci tocca da vicino: l’articolo include infatti un attacco duro e astioso contro alcuni ebrei e il loro modo di vivere l’ebraismo. Il processo di emancipazione-secolarizzazione degli ultimi due o tre secoli sembra caricarsi di una connotazione negativa, come se con esso gli ebrei avessero smarrito la propria vera identità – che per l’autore dell’articolo può essere solo religiosa – o ne simulassero astutamente una fittizia. È un dato di fatto che molti ebrei oggi, come negli ultimi due o tre secoli, percepiscono il proprio ebraismo non tanto come religione quanto come cultura, appartenenza, tradizione, consapevolezza di una storia comune, e molte altre cose. Fatico a capire perché questo debba dare così fastidio a Galli Della Loggia, ma chi gli ha dato il diritto di decidere quale sia la “vera” identità ebraica? Segue poi un attacco diretto contro l’“intellighenzia d’origine ebraica, più o meno concorde nell’avvalorare implicitamente l’idea — bizzarrissima ma molto ‘politicamente corretta’ — che in fin dei conti l’ebraismo non sia neppure una religione. Ovvero lo sia, ma così diversa da tutte le altre, così diversa, alla fine da non esserlo!” A ben vedere questa idea bizzarra è comune in qualche modo a tutte le religioni: ognuna si ritiene unica, non paragonabile alle altre, logica e ragionevole, libera dal cumulo di superstizioni, regole assurde, contraddizioni, da cui le altre sono invece gravate; anzi, a volte ciascuno arriva a proclamare, con le più svariate argomentazioni, che in fin dei conti la propria religione è la vera laicità (si possono leggere e sentire discorsi del genere da parte di ebrei, cattolici e protestanti). Casomai la bizzarria degli ebrei starebbe altrove: per esempio nel fatto che molti pur dichiarandosi orgogliosamente laici, e magari anche non credenti o decisamente atei, si ritrovano spesso a compiere azioni che appaiono specificamente religiose: recitano benedizioni, digiunano, non mangiano pane per otto giorni, eccetera; credo di non aver mai conosciuto tra le persone della mia generazione una coppia di ebrei che abbia celebrato solo il matrimonio civile: la cerimonia ebraica con tutte le benedizioni del caso sembra a tutti noi l’unica appropriata anche per chi non è minimamente religioso. Perché tutto questo? Può essere il senso di appartenenza al popolo ebraico, la fedeltà a una storia millenaria e la volontà di esserne parte, il desiderio di tener vive le tradizioni della propria famiglia e della propria comunità; oppure possono entrare in gioco motivazioni più “ideologiche”, per esempio la rivendicazione del diritto alla diversità in sé, cioè l’idea che le specificità culturali siano salutari per la società nel suo complesso. La difesa di un’identità di minoranza porta poi inevitabilmente ad opporsi alla pervasività della religione maggioritaria in ogni ambito della vita pubblica. Galli Della Loggia si chiede perché in Italia il bersaglio delle critiche sia stato essenzialmente il cattolicesimo. Forse semplicemente perché in Italia è essenzialmente il cattolicesimo a voler dettar legge in tutti i campi. Nel nostro paese la sproporzione numerica tra i cattolici e tutti gli altri ha portato a ridurre il dibattito alla dicotomia cattolici-laici, con gli ebrei e gli esponenti di altre minoranze religiose spinti inevitabilmente al fianco dei laici da numerosi e oggettivi interessi comuni: basti pensare, tanto per fare un esempio, alle battaglie per la laicità della scuola pubblica. Veniamo al punto forse più astioso di tutto l’articolo: Galli Della Loggia rimprovera all’ebraismo (rabbini compresi) di non aver preso parte al dibattito su temi che in qualche modo coinvolgono la fede religiosa, come l’ingegneria genetica, l’eutanasia o appunto il matrimonio tra persone dello stesso sesso: “è come se l’ebraismo fosse disceso nelle catacombe tanto la sua voce è tenue o assente”. Mi pare un giudizio ingeneroso: tenendo conto dei numeri e delle proporzioni non vedo come l’ebraismo potrebbe far sentire la propria voce più di così; anzi, molte volte siamo fin troppo visibili. In alcuni casi, però (per esempio sulle cellule staminali) il punto di vista ebraico è diverso da quello cattolico, a volte opposto. In altri casi i rabbini e gli ebrei in generale hanno tenuto ben presente la distinzione (che Galli Della Loggia sembra ignorare) tra ciò che è vietato per l’ebraismo e ciò che vogliamo sia vietato a tutti indipendentemente dalle loro idee e appartenenze religiose. Nel caso dei diritti degli omosessuali, i rabbini potrebbero essere spinti dalla tradizione a prendere posizioni che potremmo definire di chiusura, ma esistono anche evidenti ragioni storiche (pensiamo per esempio alla persecuzione comune da parte dei nazisti) e ideologiche (abbiamo imparato che la negazione dei diritti di qualcuno è pericolosa per tutti) che dovrebbero indurre invece il mondo ebraico a pronunciarsi nella direzione opposta. Da qui deriva forse l’imbarazzato silenzio dell’ebraismo italiano su questi temi. Non so se e quando ne usciremo, ma se prendessimo posizione dubito (e personalmente non mi auguro) che ci esprimeremmo nella direzione auspicata da Galli Della Loggia.

Anna Segre, Pagine Ebraiche, febbraio 2013

(7 febbraio 2013)