Rabbini a confronto sul futuro delle Comunità

Sala gremita al centro sociale della Comunità ebraica di Torino per il convegno “Quale comunità per gli ebrei italiani del XXI secolo?” organizzato dal Gruppo di Studi ebraici. Chiamati a discuterne, tra gli altri, diversi rabbanìm, partendo dai differenti background. Al centro dei loro interventi, varie sfumature del rapporto tra ebraismo e modernità e delle sfide con cui si devono confrontare le kehillot del nuovo millennio.
Ad aprire la sessione mattutina moderata dal presidente del Gruppo Franco Segre, dopo il saluto del presidente della Comunità Beppe Segre, è stato l’intervento del rabbino capo della città Eliahu Birnbaum. “Se un tempo la Comunità costituiva un elemento di protezione per gli ebrei nei confronti della società pubblica, il loro anello di congiunzione con lo Stato, oggi il mondo è cambiato, e questo modello è stato superato – ha spiegato il rav – Oggi, nel chiederci quale tipo Comunità perseguire, dobbiamo tenere a mente che il nostro futuro non è mai scontato, ma ciascuno di noi ha il compito di impegnarsi per garantirlo: a mio parere, questo passa per la sfida di rendere la Comunità un istituto maggiormente inclusivo, capace di avvicinare coloro che ne rimangono oggi lontani”. Una delle sfide messe in risalto dai vari interventi per l’ebraismo italiano è quella di aprirsi al rapporto con le realtà di altri paesi. Anche in questa prospettiva, rav Pierpaolo Punturello ha offerto un approfondimento sull’identità modern orthodox, capace di offrire una sintesi fra tradizione e realtà contemporanea. E una diretta applicazione della capacità della visione ebraica di fornire spunti per problematiche moderne è stata spiegata dal rabbino capo di Modena Beniamino Goldstein, che si è concentrato sul problema dell’approccio ebraico alle tematiche del diritto del lavoro e dei lavoratori.
Rav David Sciunnach ha invece affrontato il tema del pluralismo all’interno delle Comunità ebraiche, spiegando la ricchezza che offre il confronto fra tradizioni diverse, ma mettendo anche in guardia dal rischio di perdere o sbiadire la propria identità, come è successo, sotto molti aspetti, alla tradizione ebraica italiana in parte assorbita da quelle ashkenazite e sefardite. Un rischio che viene scongiurato solo costruendo identità forti grazie allo studio e all’approfondimento. A concludere la mattinata è stato poi il rabbino capo di Padova Adolfo Locci, che si è concentrato sul rapporto tra il rav e la kehillah. “Partiamo dal presupposto che molti dei problemi di cui discutiamo non sono soltanto condivisi da numerose altre realtà ebraiche nel mondo, ma esistono da molto tempo anche nell’ambito delle nostre Comunità – ha ricordato il rav – E’ importante capire che il rabbino e la Comunità sono insieme corresponsabili di portare avanti la Torah e i suoi precetti. È finito il tempo in cui il rav rappresenta la figura cui la Comunità delega l’osservanza delle mitzvot”.
Nel pomeriggio previsti gli interventi di rav Michael Ascoli, del maskil Gadi Piperno e della rabbanit Renana Birnbaum, in un incontro introdotto da Dario Disegni, presidente della Fondazione Margulies-Disegni e, a conclusione della giornata, la tavola rotonda “L’ebraismo italiano e le sfide del nostro tempo: la parola ai giovani”, coordinata da Sarah Kaminski con la partecipazione tra gli altri del presidente dell’Unione giovani ebrei d’Italia Susanna Calimani. (Rossella Tercatin @rtercatinmoked)