Qui Livorno – Unità e dimensione dello studio
Cosa unisce una comunità e quale rapporto ha con gli individui? Questa la grande domanda che la Comunità ebraica di Livorno e il Dipartimento Educazione e Cultura dell’Ucei hanno posto al centro di una riflessione domenicale suscitando un vivace dibattito che ha visto la partecipazione di molti iscritti. La discussione, che ha visto protagonisti anche il rabbino capo di Livorno Yair Didi, il consigliere con delega alla cultura della Comunità ebraica Guido Servi e – in veste di moderatore – il consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Daniele Bedarida, è stata stimolata da due relazioni sul tema. Rav Scialom Bahbout, rabbino capo della Comunità ebraica di Napoli, prendendo spunto dal pensiero di rav Joseph Soloveitchik, ha introdotto la nozione di “Edà”: questo termine indica l’idea non metafisica di “comunità” che riesce a fare propria e a condividere una missione comune; tale missione distingue e dona a ogni edà la sua propria specificità e quando viene a mancare, la comunità perde la propria “scelta” e specificità, cadendo – o tornando – in una condizione “coercitiva” e di isolamento. La professoressa Donatella Di Cesare ha invece affrontato la questione della tensione tra comunità e individualità, mostrando come questo conflitto, sorto nella modernità, induca a vivere in modo altalenante la comunità o come limite o come chance. Oggi, in un mondo globalizzato dove lo Stato Nazione è in crisi e assistiamo a una notevole dispersione identitaria e a uno spiccato individualismo, la comunità può essere la risposta più umana ed efficace per ritrovare una sana via di mezzo tra collettivismo e individualismo, come ci insegnano Martin Buber e altri filosofi del ‘900: la comunità si basa infatti sul dialogo, ovvero sulla relazione con l’altro, il riconoscimento del “tu” e sull’ascolto. Particolarmente interessante è stata una delle conclusioni che rav Bahbout ha delineato proprio insieme al pubblico, per cui la dimensione dello studio (individuale e di gruppo) rimane quella condizione che salvaguarda l’unità di una comunità: citando le parole del padre di rav Adin Steinsaltz, un ebreo può essere un eretico, ma non un ignorante. E questa è una delle più grandi responsabilità che appartengono al tempo stesso a una comunità e alle singole persone che la compongono.
Ilana Bahbout, coordinatore Dipartimento educazione e cultura
(18 febbraio 2013)