Parole fuori posto

Prendiamo Daniela Santanché. Commentando lo scandalo Finmeccanica e l’accusa di corruzione internazionale rivolta ai vertici del gruppo per ottenere appalti in India, ha rilasciato la seguente dichiarazione: “Per gli italiani è molto peggio avere un campo rom che pagare un’intermediazione commerciale all’India”. Sarei tentato di osservare un silenzioso disprezzo. Perché si fa proprio il gioco di questi personaggi quando li si rilancia, anche criticandoli. E poi perché non tutte le cavolate vanno commentate. Trovo però utile ragionare sull’episodio alla luce della discussione su quali siano i valori ebraici in politica, cui in questi giorni hanno partecipato molti esponenti della nostra comunità.
Io considero specificamente ebraico attribuire importanza alle parole. Non solo evitando la maldicenza o la chiacchiera inutile (lashon harà), ma dedicandosi al singolo termine, viatico per comprendere la Scrittura e dettaglio necessario a cogliere la dinamica generale del mondo. Una parola giusta significa rispetto verso noi stessi e verso gli altri, una parola sprecata contraddice la stessa natura umana. Che dire, dunque, di una frase come questa? É sufficiente sfruttare la metafora calcistica di “buttare la palla in tribuna”, oppure conviene considerarla un’offesa alla dignità di tutti noi (per non parlare dell’atteggiamento razzista)?
Se penso al senso del mio modesto impegno civile e politico, considero prioritario ridare valore alle nostre parole. La stessa ragione per cui, a suo tempo, mi fece rabbrividire un tweet di Roberto Formigoni, oggi compagno di partito della Santanché ma allora avversario interno: “Daniela, se il silenzio è d’oro, tu che parli senza interruzione, di che materiale sei fatta? Non dirmi banalmente di plastica”. Non c’è che dire, proprio un bell’ambientino.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas twitter @tobiazevi

(19 febbraio 2013)