Tempio…
“ …E faranno per Me un Santuario e Io dimorerò in mezzo a loro….” (Shemòt ,25; 8). É noto il paradosso di questo verso nel quale anziché dire che l’Eterno abiterà in “esso”, cioè nel Tabernacolo, si dice che risiederà “in mezzo a loro”, cioè nelle persone. Pur pregando tre volte al giorno affinché il Santuario venga ricostruito presto, l’ebraismo appare come il solo grande culto che considera una rovina, il Kotel ha Maaravì, il Muro Occidentale, come il più sacro dei luoghi. Questo è un elemento essenziale nella struttura del pensiero ebraico. In contrasto con le altre grandi culture dell’antichità legate alle costruzioni in pietra e quindi inesorabilmente sprofondate in una dimensione puramente archeologica, il paradosso del “Hurban”, la distruzione del Tempio, sembra aver consentito la straordinaria sopravvivenza del popolo ebraico. La caduta di quello che poteva equivalere al concetto del nostro “Santuario” ha determinato la scomparsa di tutte quelle culture coinvolte in un processo storico apparentemente ineluttabile. Se l’ebraismo ha potuto sfuggire a questa sorte, è perché un edificio invisibile si è sostituito a quello di pietra, come se l’edificio di pietra non fosse stato altro che l’immagine manifesta e la dimensione tangibile di un Tempio spirituale che non può essere né misurato né distrutto sulla base dei criteri conosciuti dall’uomo.
Roberto Della Rocca, rabbino
(19 febbraio 2013)