Ci riguarda
Se qualcuno aprisse la Meghillat Ester sapendo che è un libro del Tanakh ma senza avere nessuna idea del contenuto, probabilmente all’inizio penserebbe di aver preso in mano il testo sbagliato. Non siamo in Eretz Israel, non si parla di ebrei, si racconta la storia di un imperatore persiano, per di più soffermandosi sulle sue vicende matrimoniali. Cosa ce ne importa di quei banchetti descritti così dettagliatamente, di un consiglio di stato convocato solo per discutere su come il re debba reagire a uno sgarbo della moglie, o delle procedure poco edificanti con cui viene scelta la moglie successiva? (È vero che le interpretazioni midrashiche coinvolgono gli ebrei fin da subito, ma esse si affiancano alla lettura lineare del testo, non la annullano: il midrash pare scritto per chi conosce già la storia, mentre la Meghillà, con la struttura complessa e ricca di colpi di scena, sembra fatta apposta per coinvolgere chi legge per la prima volta, o, per meglio dire, per far provare ogni anno al lettore la curiosità e l’ansia di chi legge per la prima volta). Solo nel corso del secondo capitolo compaiono finalmente Mordechai ed Ester, ma ancora fino al successivo un lettore del tutto all’oscuro della vicenda non avrebbe nessun indizio che lo porti a supporre che i loro fatti personali possano riguardare il popolo ebraico nel suo complesso.
A ben vedere anche questo potrebbe essere un insegnamento nascosto in un testo in cui il nascondimento è uno dei temi fondamentali: quando gli ebrei vivono come minoranza in una società non ebraica a volte può sembrare che i fatti che li circondano non li riguardino, o che li riguardino solo come persone singole; poi capita che un’identità identità ebraica trascurata o taciuta diventi improvvisamente determinante. È un pensiero che forse ci accompagnerà mentre ci recheremo a votare proprio il giorno di Purim o di Purim Shushan.
Vale la pena ricordare che la vicenda non si conclude con le sorti rovesciate, né con lo scampato pericolo per gli ebrei, e neppure con l’istituzione della nuova festa; l’ultima cosa che accade è che il re (presumibilmente su consiglio di Mordechai) impone una nuova tassa. Un finale davvero prosaico per una vicenda così ricca di pathos, ma forse è il finale adatto per ricordarci che anche dopo il lieto fine la vita continua con i suoi problemi quotidiani ed è impossibile affermare con certezza che un dato tema non ci riguarda.
Anna Segre, insegnante
(22 febbraio 2013)