Cinema – Per Israele un’attesa dolce-amara

Non cessano di far discutere le due pellicole israeliane che concorrono all’assegnazione dell’Oscar 2013 come miglior documentario.
Se da un lato il cinema israeliano può esultare per l’ennesima prova del grande riconoscimento ottenuto a livello mondiale, dall’altro le due opere raccontano al mondo alcuni degli aspetti più controversi della vita dello Stato ebraico agli occhi dell’opinione pubblica.
The Gatekeepers di Dror Moreh raccoglie sei inediti colloqui con tutti gli ex direttori dello Shin Bet (il servizio di sicurezza israeliano) ancora in vita, in una pellicola costata circa un milione e mezzo di dollari: Avraham Shalom, in carica dal 1981 al 1986 (quando si dimise in seguito all’accusa di aver ordinato l’uccisione di due prigionieri palestinesi), Yaakov Peri in carica dal 1988 al 1994, appena eletto alla Knesset nelle file di Yesh Atid, Carmi Gillon, in carica nel 1995 e 1996, poi ambasciatore in Danimarca, Ami Ayalon, in carica dal 1995 al 2000, poi parlamentare nel Labor, Avi Dichter in carica dal 2000 al 2005 (aiutò Sharon a programmare il ritiro da Gaza) poi parlamentare per Kadima, Yuval Diskin, in carica dal 2005 al 2011. Con tutti il regista inizia dallo stesso interrogativo “Perché in 45 anni non è stata trovata una soluzione alla questione israelo-palestinese?”. Ne emerge un quadro di profonda critica nei confronti della leadership politica israeliana, e una forte raccomandazione a riprendere i colloqui di pace e porre fine all’occupazione della Cisgiordania. Anche se in un’intervista al Washington Post, Moreh ammette che “parte dell’apparente unanimità delle posizioni è dovuta alla magia dell’editing”, il regista tiene a sottolineare che, pur facendo ragionamenti differenti a proposito delle modalità migliori per raggiungerla, tutti si dichiarano a favore della soluzione basata sui due Stati.
Ancora più controverso è Five Broken Cameras, diretto dal regista israeliano Guy Davidi e dal palestinese Emad Burnat. La pellicola racconta la prospettiva di Burnat sulla vita nel suo villaggio in Cisgiordania Bil’in in seguito alla decisione di far passare vicino la barriera difensiva israeliana. Costato circa 250 mila dollari, il documentario ha fatto molto discutere per il supporto dato da Davidi al movimento del boicottaggio contro Israele, ma anche per la contrarietà dei due registi a definire la loro opera come un film israeliano.
“Possiamo essere orgogliosi del dibattito politico aperto e democratico che abbiamo in Israele” il commento del console generale dello Stato ebraico a Los Angeles David Siegel, che ha però criticato l’appello al boicottaggio da parte di Davidi (“Sarei curioso di sapere se include anche i fondi israeliani che hanno accettato per la realizzazione del loro film” la puntualizzazione). “E dato che loro non vogliono che Five Broken Cameras venga associato ad Israele, direi che Israele non deve sentire il bisogno di riconoscersi in Five Broken Cameras” conclude Siegel. Diverso il caso di The Gatekeepers. “Dobbiamo distinguere il riconoscimento artistico e professionale del film dal suo contenuto politico, che in Israele è oggetto di dibattito”.