I conti fra rabbini
Ho finalmente letto “I fratelli Ashkenazi”, lo straordinario libro di Israel J. Singer che da anni mi ripromettevo di affrontare. Ne emerge un affresco sorprendente dell’ebraismo polacco dell’Ottocento, quello di una comunità enorme, operosa e piena di contraddizioni. Per una coincidenza temporale negli stessi giorni ho assistito alla diatriba tra i rabbini italiani, seguita alla comunicazione del Rabbinato centrale israeliano sui Battè Din. Una polemica di poco successiva al congresso dei giovani ebrei, concluso con l’obiettivo di ridiscutere a breve le modalità di ammissione agli eventi Ugei: chi può essere considerato ebreo, in altre parole, e quindi partecipare alle iniziative dei giovani? Come spesso accade, gli eventi accelerano e superano i progetti razionali. Pressioni esterne e interne spingono tutto l’ebraismo italiano a interrogarsi sul suo futuro, in particolare sulle modalità di conversione, sull’accoglienza dei figli di matrimonio misto con padre ebreo e sulle persone che si avvicinano per ragioni personali e di fede. Rav Riccardo Di Segni e Rav Alfonso Arbib rivendicano la pubblicazione della lettera del Rabbinato israeliano, che di fatto pone una riserva sul Bet Din del Centro-nord Italia, presieduto da Rav Giuseppe Laras. Penso che abbiano ragione a una condizione. Questa discussione non può risolversi in un regolamento di conti tra rabbini – come può apparire in questo momento – ma deve essere l’occasione per un confronto diretto e sincero su come garantire una continuità all’ebraismo italiano. Non c’è alcuna ragione per tenere questo dibattito, per certi aspetti doloroso, sotto traccia, e anzi le istituzioni ebraiche devono farsene promotrici tra le generazioni. Non possiamo accontentarci delle risposte burocratiche: sarà anche vero che il Rabbino Capo d’Israele non è un papa ma solo un’autorità statale con cui occorre necessariamente fare i conti. Tuttavia non possiamo accettare con passività le indicazioni che ci vengono da Israele. Per un motivo molto semplice: neanche il più autorevole dei rabbini può conoscere le mille contraddizioni del nostro ebraismo. Basta rileggere i “Fratelli Ashkenazi” per cogliere il grande fascino della complessità e dell’evoluzione che l’ebraismo, a contatto col mondo esterno, ha conosciuto in qualunque epoca e in qualunque luogo.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas twitter @tobiazevi
(26 febbraio 2013)