Purim…
Alcuni giorni fa su queste pagine Anna Segre, a proposito della Meghillah di Ester, metteva in evidenza il contrasto tra “un finale davvero prosaico per una vicenda così ricca di pathos…”. In effetti la Meghillàt Ester si conclude con un capitolo di soli tre versi apparentemente insignificanti. La storia si sarebbe potuta felicemente concludere con il nono capitolo con l’istituzione dei festeggiamenti del Purìm per lo sventato genocidio, ma invece il testo continua con un capitolo di soli tre versi che evidenziano, tra le righe, come dopo la tragedia, vi è la tentazione di ritornare alla “normalità”. È un capitolo triste e di un’attualità drammatica. Pochi versi che descrivono il fallimento di una generazione che ha la possibilità di salire verso Eretz Israèl ma che sceglie di rimanere nella diaspora sollecitandoci quel drammatico interrogativo che molti di noi continuano a porre ai propri genitori, ai propri nonni, a se stessi: “Come avete fatto a rimanere in un paese che vi ha cacciato dalle vostre scuole e dove ancora a 70 anni di distanza c’è chi minimizza o addirittura si ispira a quel periodo?”. La Meghillah si conclude in modo per nulla prosaico ma con la constatazione di chi continua a scegliere un comodo soggiorno nelle nostre rispettive “Babilonia”, eleggendo magari qualche ebreo in parlamento come fu per Mordekhai, tutto in maniera assolutamente ebraica, con scuole ed accademie dove si studia Torah, punti vendita kashèr, mikwaòt e movimenti giovanili. Mai come quest’anno nel giorno di Purim Shushàn la fine della Meghillah mi ha lasciato l’inquietante interrogativo: quanto potrà durare tutto questo?
Roberto Della Rocca, rabbino
(26 febbraio 2013)