Informazione – Regole e domande per l’ebreo giornalista

Riportare notizie sugli altri, di qualunque genere (rekhilut). Riferire fatti veri, ma che mettono in cattiva luce il prossimo (leshon harah). Disseminare voci false e diffamanti (motzi shem rah). Problemi di fondamentale importanza nella tradizione halakhica e ancora più delicati per chi opera nel mondo del giornalismo, che hanno rappresentato il punto di partenza del seminario Legge ebraica e informazione organizzato dal Collegio rabbinico e dalla redazione del portale dell’ebraismo Moked.it al Centro bibliografico dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Relatori i rabbini capo di Roma e di Milano Riccardo Di Segni e Alfonso Arbib e poi rav Alberto Somekh e rav Gianfranco Di Segni.
A unire in un filo ideale gli interventi del rav Riccardo Di Segni e del rav Somekh non è stato soltanto un esame delle fonti halakhiche rilevanti per il lavoro degli operatori dell’informazione in campo ebraico, ma anche una premessa fondamentale: tanto sono complesse le prescrizioni in materia che i rabbanim hanno espresso l’auspicio che i partecipanti uscissero dall’incontro con più domande rispetto a quelle con cui erano entrati, e soprattutto con la consapevolezza che ogni decisione debba costituire oggetto di una profonda riflessione personale. “L’etica della professione è un aspetto estremamente importante per molte attività: così come per i medici tanta attenzione viene dedicata alla bioetica, così dovrebbe accadere anche nell’ambito dell’informazione, a maggior ragione oggi che con l’avvento del web l’informazione deve fare i conti con problemi incommensurabili rispetto al passato, come l’interattività di utenti semplici che hanno la possibilità di riprodurre liberamente notizie senza essere vincolati da alcuna regola” ha spiegato rav Di Segni, approfondendo poi le principali domande da porsi in ambito giornalistico. “Non andare sparlando del tuo popolo, ma non stare inerte di fronte al sangue del tuo prossimo” (Vaikrah 19,16) la fondamentale fonte da cui partire nel ragionamento, in cui devono essere contemplati due divieti in conflitto tra loro, quello di parlare alle spalle del prossimo, e quello di rimanere passivi non diffondendo informazioni che possono invece salvare dal danno qualcuno.
Tante le fonti citate anche dal rav Somekh che però ha voluto iniziare sottolineando che “nel dare buone notizie vi è una componente di mitzvah, al punto che, a differenza delle cattive notizie, esse possono essere annunciate anche durante lo Shabbat”, per poi fornire spunti di riflessione su diversi quesiti: quali accorgimenti prendere per evitare di commettere colpa nel riferire le notizie (fondamentale per esempio la disposizione d’animo nel divulgarle) oppure il modo di riferire il sospetto che una persona abbia commesso un reato, o ancora il diverso atteggiarsi del diritto alla riservatezza per i personaggi che ricoprono cariche pubbliche.
Previste nella seconda giornata del seminario gli interventi di rav Arbib “Esigenze dell’informazione e requisiti del carattere: la risposta ebraica per un impegno professionale sulle vie del Mussar”, e del rav Gianfranco Di Segni “I rabbini giornalisti nella storia degli ebrei italiani”.

Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked

(28 febbraio 2013)