Tre spunti di riflessione

La “querelle Battè Din” in atto, oltre alla delicata questione centrale in discussione, propone almeno altri tre ulteriori spunti di riflessione:
– l’assenza, almeno ad oggi, dal dibattito delle istituzioni ebraiche nazionali “laiche”, quasi che la cosa si riconducesse a una diatriba rabbinica filosofica, mentre invece i diretti interessati del funzionamento dei “Battè Din”, i Tribunali Rabbinici, siamo noi iscritti unitamente a tutti coloro che volessero avvicinarsi all’ebraismo valutando un’eventuale conversione. La laicità delle istituzioni mi è cara ma è cosa diversa dall’estraneità e ritengo che sarebbe doveroso, più che consentito e ovviamente senza ingerenze halachiche, un forte interessamento dell’Unione affinchè vi sia chiarezza e certezza al riguardo, appunto nei confronti di noi tutti;
– le modalità di svolgimento della controversia attraverso, prevalentemente, siti internet “in chiaro” e quindi accessibili a chiunque, “sdogana” come oggi si suol dire definitivamente tali strumenti anche in ambito di confronto ebraico, con buona pace dei sostenitori del tradizionale concetto, spesso ipocrita in quanto utilizzato solo per cercare di zittire chi non è gradito, del “lavare i panni sporchi in casa” in genere arricchito nella variante ebraica dal richiamo alla “lashon ha-ra” dove per “malalingua”, per non smentirsi, si definisce prevalentemente ciò che non ci è gradito sentire. Grande prova di democrazia? Al contrario grave prova di decadimento? Comunque la si pensi il precedente è oggettivo e ineludibile;
– la bizzarria, diciamo così, insita nel fatto che la querelle, fortemente basata sulle modalità delle conversioni, i “ghiurim”, parta da Israele. Il dibattito sulle conversioni è infatti, come noto a chiunque segua le cose israeliane, da tempo assai vivace proprio in quella società e senza esclusione di colpi. Nel corso della recente campagna elettorale, non a caso, il tema è stato anche trattato in alcuni spot tv, in chiave critica o in termini di risposta ironici (il certificato di conversione che arriva alla sposa via fax giusto pochi minuti prima del matrimonio con stupore dello sposo). Insomma, per dirla alla napoletana e per ironizzarci sopra ma sempre con rispetto per tutti, pare il caso di dire che “o’ ciuccio chiamma recchia longa o cavallo” ovvero, secondo il detto pratese, “cencio parla male di straccio”.

Gadi Polacco

(3 marzo 2013)