I rabbini e noi
Condivido (stranamente?) l’articolo a firma Gadi Polacco di un paio di giorni fa. A proposito della querelle tra rabbini italiani – da quanto sembra, non accenna a placarsi – Polacco rileva tre aspetti fondamentali: l’Ucei non si è ancora espressa e invece dovrebbe farlo; la polemica è deflagrata sui social network che ormai sono a tutti gli effetti il terreno di gioco, pur tra i loro mille difetti; la posizione israeliana, che in questa vicenda appare granitica e monolitica, non rispecchia le profonde contraddizioni che sul tema dei ghiurim attraversano la società israeliana già da alcuni anni senza che si sia approdati a una soluzione definitiva e soddisfacente. Lascio da parte l’ultima questione, su cui mi sono già espresso la settimana scorsa in modo, mi auguro, chiaro: non tutto ció che viene da Israele è oro colato. Mi interessa invece provare a formulare una proposta concreta sui primi due aspetti: perché l’Ucei, insieme con le altre istituzioni ebraiche, non organizza da subito un’assemblea di discussione e confronto sul tema dei Batté Din, delle conversioni, dei figli di matrimonio misto e sul futuro dell’ebraismo italiano? Un momento di riflessione che coinvolga rabbini, attivisti, iscritti, presidenti, un po’ sul modello delle assemblee comunitarie, che infatti vengono convocate quando sul piatto ci sono le grandi questioni. Ci dobbiamo parlare, senza lo spettro di chissà quale votazione, ma senza paure o infingimenti. Ci saranno posizioni diverse ma é bene che emergano invece di far finta di niente nascosti dietro un unanimismo fasullo. Se non si può sfruttare il prossimo appuntamento del Moked, si convochi un’altra sessione del parlamentino Ucei aperta a tutti, preceduta magari da un confronto in rete che sia gestito per evitare le solite insopportabili tifoserie e i toni aggressivi.
Le responsabilità che si confrontano sono diverse ed è chiaro che i rabbini su queste questioni hanno l’ultima parola. Ma – anche in virtù delle loro divergenze – un confronto aperto, che abbia l’obiettivo di arrivare a procedure trasparenti e condivise, non può che far bene anche a loro. L’errore che non possiamo permetterci è quello di arroccarci ognuno nel proprio fortino di certezze.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas twitter @tobiazevi
(5 marzo 2013)