Vaticano – Il papa e gli ebrei
In questi giorni di conclave il nostro paese è stato più che mai in attesa per capire o aspettare di sapere il successore di Benedetto XVI. È un clima di grande intensità in quanto colmare il vuoto di una sede pontificia vacante può sembrare quasi il segnale di svolta, come se i nuovo papa potesse in qualche modo risolvere i problemi del nostro travagliato paese. La guida di un solo uomo, per il modo cattolico, è unificante e rassicurante, forse perché oggi in Italia si contrappone alla frammentazione dei partiti politici e alle loro ideologie contrapposte. Il papa dunque è il simbolo vivente della globalizzazione delle idee, dell’universalità della comunicazione, dell’unificazione dei significati. La cultura ebraica in questo senso promuove altri modelli per raggiungere l’unità, che ha come riferimento il creatore divino. Leggendo il recentissimo libro che Amoz Oz ha scritto insieme alla figlia Fania (Jews and words, Yale University Press) di prossima pubblicazione in Italia, ho trovato una convincente spiegazione degli autori sul perché noi ebrei non abbiamo il papa:
“Gli ebrei non hanno mai avuto un papa…Poiché supponendo che ne avessimo avuto uno, chiunque gli avrebbe dato delle pacche sulle spalle, dicendo che le loro nonne avevano conosciuto suo nonno a Plonsk o a Casablanca. Due gradi di separazione al massimo. Ilarità, intimità, contrarietà questi sono gli elementi di cui sono fatte le nostre comunità. Ogni rabbino ha un controrabbino, ognuno ha avuto una zia pazza e persino le luci che ci guidano sono un po’ comiche. Nessun leader come individuo può unire l’intero gregge sotto di sé, a una giusta mistica distanza. Qualcuno obietterà e dissentirà sempre: la fumata non sarà mai bianca”.
Antonella Castelnuovo
(15 marzo 2013)