Vaticano – Due voci di donna nel dialogo fra le religioni
Anna Foa e Lucetta Scaraffia, due intellettuali italiane, una ebrea e una cattolica, nel confronto “Dio e le donne” che appassiona gli ascoltatori di Radio Rai Uno (la domenica alle 5.50 e alle 23.50). A loro abbiamo chiesto di proseguire il colloquio ragionando sul nuovo papa
Mentre parliamo, Francesco è stato eletto pontefice da due giorni e non sappiamo molto di lui, al di là di poche notizie sulla sua storia e delle parole che ha pronunciato dopo la sua elezione, dei gesti che meglio ancora delle parole lo hanno finora caratterizzato. Su questi elementi di novità, e sulle speranze ad essi legate, vogliamo porci insieme delle domande.
Anna: Se parliamo di novità, vorrei prima di tutto sottolineare come questo papa salga al soglio pontificio grazie ad un elemento di straordinaria novità, la rinuncia di Benedetto XVI. Quando è avvenuta, molte sono le voci che si sono levate a dire che questo gesto cambiava radicalmente la natura stessa della Chiesa. È su questa frattura che si inserisce l’elezione di Francesco, anche se ormai nessuno sembra più ricordarsi di questo. Non sono convinta che la generale esultanza, autentica o rassegnata che sia, per tutti gli elementi di novità che questo papato preannuncia, avrebbe potuto esserci se questa rottura precedente non si fosse verificata, Lucetta: Hai ragione. Le novità che sta portando Francesco, a cominciare dal nome e dal fatto che non ha mai parlato di sé come papa, ma come vescovo di Roma, non sarebbero state pensabili senza la grande novità delle dimissioni di Benedetto. È questo che ha aperto la strada a un modo nuovo di vedere il ruolo del papa, meno legato al potere, meno compassato e inamovibile. Tra le novità, poniamo subito la prima e la più grande, quella di un papa che non è europeo, che viene da lontano. Un papa argentino sottolinea evidentemente la dimensione mondiale della Chiesa, la disancora dalla storia europea e da quella italiana. Sembra che l’ebraismo negli ultimi decenni sia stato tutto teso a tornare alle origini, a conquistarsi una patria, rifiutando la diaspora, cioè la dispersione nel mondo, mentre la Chiesa si stava aprendo a una dimensione sempre più larga dello spazio, al mondo tutto. Anna: Sì, certo, e questo per il cristianesimo non è certo una novità, da quando Paolo ha orientato la sua opera di diffusione evangelica verso i gentili, rifiutando la dimensione di una nuova religione rivolta solo agli ebrei. Questa dimensione universalistica non solo spirituale ma anche geografica, terrena, mi sembra che caratterizzi da sempre il cristianesimo. È più una novità dell’ultimo secolo il ritorno nella Terra di Israele per gli ebrei, anche se la diaspora non è certo scomparsa. Possiamo interpretarlo come una chiusura spaziale? In un certo senso sì, in altri no, come quando anche in Israele si sottolinea il valore del nesso indistruttibile fra Israele e la diaspora, come molti fanno e hanno fatto. A me piace pensare anche lo Stato di Israele come figlio della diaspora, come l’esito dei rivolgimenti e dei progetti di un mondo fortemente diasporico (pensiamo alla Russia della fine dell’Ottocento), non come arroccamento territoriale.
Lucetta: Il nuovo papa si è presentato come vescovo di Roma, e come tale capo visibile della Chiesa. Penso alla contrapposizione fra Roma e Gerusalemme, al fatto che il cristianesimo, cacciato dalla sua terra d’origine, abbia trovato una patria in Roma, quella Roma che ha distrutto il Tempio di Gerusalemme. Nella lunga storia del rapporto fra ebrei e cristiani ci sta anche questa differenza originaria.
Anna: Sì, i cristiani hanno trovato il centro della loro religione a Roma, almeno per la Chiesa d’Occidente, e potremmo se vuoi definirla una nuova patria per la Chiesa che è a capo del mondo cristiano tutto. Quanto a Roma, era quella stessa che nello stesso periodo combatteva le guerre giudaiche e distruggeva il Tempio di Gerusalemme ma era anche la stessa che bruciava e dava in pasto alle belve i martiri cristiani. Per gli ebrei, Roma fu certo Edom, il nemico, il Male. Ma Roma era anche il luogo di una presenza ebraica già antica di almeno due secoli. Gli ebrei di Roma restano neutrali in questa guerra tra Roma e Gerusalemme, e si limitano a riscattare i prigionieri, senza nessun entusiasmo per gli zeloti del Regno di Giudea. A livello ideologico cristiano, di percezione antiebraica dei primi secoli, può forse rientrare in questo discorso di contrapposizione fra Roma e Gerusalemme il fatto che prevalesse un’interpretazione della caduta del Tempio e della diaspora dopo il 70 come punitiva degli ebrei che non avevano accettato Cristo. Lucetta: Certo, l’ossessione colpevolizzante nei confronti degli ebrei non manca mai, per molti secoli. Ma sappiamo anche che nel 70 la divisione fra ebrei e cristiani, almeno agli occhi dei romani, non era così chiara e netta. E il fatto che fossero entrambi monoteisti – quindi “i diversi” in un mondo politeista – contribuiva a creare confusione. Vediamo però che i cristiani – anche se per secoli, con le crociate, tenteranno di riprendersi Gerusalemme – di fatto spostano il loro centro sacro a Roma, mentre gli ebrei no, o semmai lo trasferiscono in un libro, la Bibbia, che si può portare dappertutto. Una piccola patria tascabile, come ha scritto Heine.
Anna: Quanto al rapporto secolare fra gli ebrei di Roma e il papa, un rapporto ambivalente che ha legato la più antica comunità ebraica della diaspora occidentale al vescovo di Roma fra protezione, disprezzo, tradimento e fedeltà, forse questo rapporto si presenta ora come definitivamente sepolto, se già non lo è stato prima. Il nuovo vescovo di Roma avrà come suoi interlocutori gli ebrei del mondo, e in primo luogo quelli che ha già avuto vicini in Argentina, con cui ha acceso una luce di Hanukkah in una sinagoga di Buenos Aires l’anno scorso, cioè quel vasto mondo degli ebrei dei paesi sudamericani che non sono mai assurti all’attenzione generale. Lucetta: Certo nella realtà è così, ma comunque il rapporto con gli ebrei di Roma conserva ancora una determinante carica simbolica, come dimostra il fatto che uno dei primi gesti di Francesco è stato scrivere al rabbino capo di Roma, Di Segni, per invitarlo alla sua messa di inaugurazione del pontificato. Comunque, Roma rimane il teatro simbolico del rapporto fra ebrei e cristiani. Anna: Un altro grande elemento di novità è il nome preso dal nuovo papa e il fatto per di più che quel nome, Francesco, sia stato assunto da un papa gesuita, un ordine che non ha mai dato pontefici dai suoi ranghi. Personalmente, ho sempre subito il fascino dei gesuiti, da quando lessi il Loyola di Barthes fino ad oggi. Certo, nella storia della Chiesa verso gli ebrei hanno avuto ruoli assai diversi. Se Ignazio di Loyola rifiuta di applicare le leggi di limpieza de sangre all’Ordine poi, alla fine del Cinquecento, quando l’Ordine infine le adotta, sono fra le più dure che siano state elaborate. E La Civiltà cattolica conduce alla fine dell’Ottocento una vera e propria campagna antisemita. Ma poi, quante aperture in senso opposto! E anche in altri campi, non è forse stato un gesuita tedesco del primo Seicento il più coraggioso difensore delle donne bruciate come streghe, Friedrich von Spee? I gesuiti riservano sempre delle sorprese, non sono mai banali. Quanto al richiamo a Francesco d’Assisi, è evidente di per sé un proclama rivoluzionario, di trasformazione della Chiesa e di ritorno alle origini. In questo senso vanno i segnali di umiltà, povertà, condivisione del destino dei fedeli. Nella storia, ci sono stati papi francescani, ma non hanno mai adottato il nome del loro fondatore e neppure il suo stile di vita. Quanto ai rapporti nella storia fra Francesco d’Assisi e gli ebrei, non ce sono stati molti, se si eccettua che una volta, in occasione di un miracolo del santo, la resurrezione di un bambino morto, anche gli ebrei presenti nella folla lo richiesero a gran voce. Ma senza convertirsi. In ogni caso un episodio, così come è narrato nelle primne fonti francescane, diametralmente opposto alle accuse del sangue che tanti minoriti, uno dei due rami in cui si divise l’ordine francescano, invocarono successivamente nella loro politica antiebraica. Non che nella storia i riformatori ispirati al ritorno alla purezza delle origini siano mai stati teneri verso gli ebrei, anzi. Ma questo ora non mi sembra proprio il caso.
Lucetta: Francesco è anche quello che ha sognato che la Chiesa stava crollando, e proprio lui avrebbe dovuto sostenerla come una colonna. La riforma francescana ridà vita a una Chiesa corrotta e divisa, e penso che Bergoglio avesse soprattutto in mente questo quando ha scelto il nome. Con un nome spiegare un programma, è nelle possibilità del papa, che ha anche la possibilità di molte altre scelte e gesti simbolici. Una persona che può comunicare rapidamente, senza equivoci, il programma della Chiesa in tutto il mondo. Non sei un po’ invidiosa di una religione che ha un papa? Con tutti quei bei rituali della finestra, delle fumate, e soprattutto con la realtà di una persona che “ci mette la faccia”, si prende la responsabilità di tutto.
Anna: No, senza offesa, non sono invidiosa. Certo, i rituali del Conclave sono affascinanti, e ho guardato con ammirazione la lunga processione dei cardinali che entravano nella Cappella Sistina e come tutti ho atteso con impazienza che il nuovo papa si svelasse, ma anche noi ebrei non manchiamo certo di rituali emozionanti. E ci tengo al nostro pluralismo, all’assenza di dogmi, alle libertà e alle responsabilità che ne possono, volendo, derivare. Non mi piacerebbe un capo che si prendesse la responsabilità di tutto. E non riuscirai a convincermi nemmeno con il fascino dei rituali!
Lucetta: Un’ultima questione. Quali sono le speranze che ebrei e cristiani possono avere dal nuovo pontificato? E sono le stesse? Per molti aspetti sono le stesse, perché credo che una Chiesa che parla al mondo con chiarezza, fedele al suo credo evangelico, che dà esempio di comportamenti virtuosi, non possa che migliorare non solo i rapporti con i suoi interlocutori – e gli ebrei sono certo gli interlocutori privilegiati – che così nutrono maggiore fiducia, ma anche possono migliorare loro stessi. Se la Chiesa appare corrotta e divisa, molti possono sentirsi giustificati a percorrere strade tortuose e scorrette, ma se dà una testimonianza limpida e chiara, le giustificazioni vengono meno per tutti. Mi è sembrata significativa, nei giorni che sono passati fra le dimissioni di Ratzinger e l’elezione del nuovo papa, l’attenzione spasmodica dei media mondiali. Non era solo corsa per lo scoop, eccitazione per la novità. Si è capito che tutto il mondo, anche non cattolico, guardava con ansia e speranza all’elezione del nuovo papa perché la sua voce – ascoltata in tutto il mondo – induce alla riflessione e magari al cambiamento anche chi non si sente fedele della sua religione. È diventata sempre più una voce importante nel concerto mondiale. Mi pare che ebrei e cristiani abbiano lo stesso interesse a che le questioni importanti siano affrontate in modo profondo e libero, che non siano soffocate da ragioni politiche o, peggio ancora, finanziarie, come spesso accade. E la voce del papa svolge un ruolo importante affinché questo non accada, soprattutto quando sa e può mettersi in sintonia con quelle di altri pensieri religiosi: penso alle ampie citazioni del rabbino Bernheim fatte da Benedetto XVI, ad esempio. Anna: Hai assolutamente ragione, l’allargamento dell’ambito della Chiesa non si è verificato solo geograficamente ma anche culturalmente. La Chiesa è diventata una voce importante nel concerto mondiale, fatto di cristiani e di fedeli di altre religioni, di credenti e di laici. Questo vuol dire che un rinnovamento della Chiesa ha un ruolo importante anche al di là della Chiesa. Gli ebrei, che certo sono stati individuati a partire dalla Nostra Aetate come suoi interlocutori privilegiati, non possono che rallegrarsi e riporre molte speranze in un rinnovamento della Chiesa cattolica, al di là della questione specifica del dialogo fra ebrei e mondo cristiano. Certo, il dialogo è fondamentale, e tutto lascia credere che riprenderà e si approfondirà a partire dal punto in cui è giunto al momento dell’abdicazione di papa Ratzinger, un punto importante e di grande apertura teologica. Ma il dialogo guadagnerà molto anche dal fatto di essere inserito nel contesto di una Chiesa rinnovata e attenta al mondo, ne sono profondamente convinta.
Pagine ebraiche aprile 2013
(21 marzo 2013)