“Museo della Shoah, ecco le mie emozioni”

Con l’approvazione dell’ultima variante urbanistica il Museo della Shoah a Villa Torlonia sarà presto realtà. Nelle parole di Leone Paserman, presidente della Fondazione che da tempo prepara la strada a questo storico appuntamento, la soddisfazione per il raggiungimento dell’obiettivo e uno sguardo alla lunga trafila burocratica che va concludendosi. “Credo che l’input decisivo sia arrivato con scomparsa di Shlomo Venezia. L’ondata di emozioni che ne è seguita – afferma Paserman – ha avuto un effetto su noi tutti. Sul sindaco, sul Consiglio di Roma Capitale, sui leader dell’ebraismo italiano e romano. Si è messa in moto una macchina molto efficiente per superare gli ostacoli residui”. Partiamo dalla fine.
Quale la sua reazione al via libera definitivo di Roma Capitale?
Un lungo sospiro di sollievo. Ho appreso la notizia all’aeroporto di ritorno da un periodo trascorso a Bruxelles. È stata un’emozione molto forte dopo otto anni di alti e bassi in cui, ad annunci di segno positivo, sono immediatamente seguite le smentite del caso. Essendo ormai prossimi alla fine della legislatura un ulteriore ritardo avrebbe messo a rischio l’intera operazione.
Più volte in questi anni, intervenendo sulla stampa nazionale, ha denunciato la mancanza di una reale volontà politica di dare attuazione al progetto. A cosa si riferiva?
Al fatto che, a parte la scontata opposizione della destra estrema, il consenso teorico all’iniziativa è stato fin da subito forte e trasversale. Parole, appunto. Purtroppo a volte è mancata la concretezza. Al Corriere ho detto che se le cose si vogliono fare si fanno. Se invece ci si rifugia dietro a giustificazioni, il più delle volte inconsistenti, è praticamente impossibile andare avanti.
A cosa imputa questo atteggiamento?
Credo sia un problema di consapevolezza storica. L’Italia non ha mai fatto i conti con il passato e questo lo si evince proprio dalla mancanza di un museo della Shoah sul suo territorio. C’è in Belgio, Olanda, Francia. Non parliamo della Germania. Il revisionismo di alcuni esponenti politici sul ventennio fascista è prova di questa sconcertante ignoranza. È stato detto che il Museo della Shoah di Roma costerebbe troppo. Senz’altro la cifra prevista è significativa ma, se inquadrata nell’ottica del bilancio complessivo di Roma Capitale, rappresenta una voce come tante altre. È esclusivamente una questione di volontà. Una volontà che talvolta è mancata anche all’interno dello stesso mondo ebraico.
In che senso?
Ho avvertito un senso diffuso di pessimismo legato alle difficoltà economiche contingenti e a varie concause.
C’è stato un momento in cui ha temuto di non farcela?
Sì, più volte. Lo sconforto è stato spesso uno spiacevole compagno di viaggio. Credo che l’input decisivo sia arrivato con la scomparsa di Shlomo Venezia. L’ondata di emozioni che ne è seguita ha avuto un effetto su noi tutti. Sul sindaco, sul Consiglio di Roma Capitale, sui leader dell’ebraismo italiano e romano. Si è messa in moto una macchina molto efficiente per superare gli ultimi ostacoli. Ad Alemanno in particolare va riconosciuto il merito di aver convinto il governo a una deroga sul patto di stabilità interno.
A Ferrara si lavora alla realizzazione di un museo dedicato all’ebraismo italiano e alla Shoah. Alla stazione centrale di Milano è stato da poco inaugurato il memoriale che ricorda quanti, da quei binari, furono deportati verso i campi di sterminio nazisti. Non c’è un rischio di dispersione della Memoria?
Il Meis racconterà la storia degli ebrei italiani dalle origini a oggi. Binario 21 è un memoriale e non un museo. Noi parleremo della Shoah non soltanto in una dimensione italiana ma europea. C’è una bella differenza.
Messa alle spalle la trafila burocratica più insidiosa la proiezione è adesso al futuro. Cosa accadrà nei prossimi mesi?
Una volta terminata la fase di presentazione delle proposte per il bando europeo chi di dovere procederà all’esame delle offerte e degli eventuali ricorsi. Spero, entro l’estate, di poter inaugurare il cantiere. Da quel momento serviranno all’incirca due anni per edificare l’intera struttura e un anno ulteriore per procedere con l’allestimento degli spazi espositivi. Per quest’ultimo aspetto esiste ancora il nodo delle risorse che contiamo di reperire con una raccolta fondi internazionale. Intanto andiamo avanti con il lavoro scientifico grazie al formidabile contributo di Marcello Pezzetti e di tutti i collaboratori interni ed esterni.
Come vi state muovendo?
Le attività della fondazione impegnano uno staff altamente qualificato su vari fronti: dalla ricerca storica alla documentazione cinematografica, letteraria e artistica. Un materiale vastissimo che andrà a comporre il volto del museo. Nel recente passato abbiamo inoltre realizzato mostre e appuntamenti di diverso genere che hanno sensibilizzato l’opinione pubblica sulle tematiche a noi più care. Appuntamenti locali o iniziative di richiamo nazionale come la mostra sui ghetti nazisti al Vittoriano. Prossimamente ricorderemo il 70esimo anniversario della rivolta del Ghetto di Varsavia e in autunno la retata del 16 ottobre a Roma. Senza dimenticare il supporto ai tanti viaggi della Memoria organizzati: dalla visita della nazionale di calcio alle molte migliaia di studenti delle scuole che è stato possibile coinvolgere.

Adam Smulevich (Italia ebraica, aprile 2013)