Prima leggere poi litigare
Il pluralismo e la capacità di dialogo nell’ambito dei media ebraici italiani stanno aumentando o diminuendo? È stato uno dei temi discussi durante lo Shabbaton comunitario torinese a Ivrea. Le opinioni erano varie: qualcuno ha sottolineato la positiva novità offerta da Pagine ebraiche e da Moked, qualcun altro ha ricordato con nostalgia Ha Tikwà, l’organo della FGEI “aperto al libero confronto delle idee nel rispetto di tutte le opinioni”. Personalmente vedo qualche progresso: le persone che oggi litigano probabilmente un tempo non si parlavano per nulla e forse neppure si conoscevano; d’altra parte la FGEI, pur formalmente priva di un indirizzo ideologico specifico, mi pare avesse, almeno in alcuni periodi della sua esistenza, un’utenza piuttosto omogenea che rendeva poco probabili conflitti violenti. Va detto, però, che oggi a volte si assiste a fenomeni preoccupanti. Un tempo (anche fuori dal mondo ebraico) non si aveva paura di avere idee diverse e di proclamarle esplicitamente. Oggi si tende a sostituire alle idee l’attacco personale. È una tendenza generale che sicuramente non è più accentuata nel mondo ebraico che altrove, anzi, forse i nostri piccoli numeri ci costringono a un minimo di decenza. Però l’Unione informa e Moked hanno forse un problema in più derivato proprio dal loro più grande pregio, la rapidità. Oberati dal lavoro e dagli impegni, tendiamo a leggere la newsletter frettolosamente, magari con qualche giorno di ritardo; a volte si prepara un pezzo in anticipo, senza sapere cosa scriveranno gli altri sullo stesso argomento. A volte ne vengono fuori effetti curiosi: testi che letti insieme danno l’impressione di un dialogo tra sordi, risposte che arrivano con una o due settimane di ritardo, testi che sembrano una risposta ad altri testi e in realtà sono stati scritti prima, testi a cui sono attribuite intenzioni “tra le righe” che gli autori non si erano neppure immaginati. Forse dobbiamo semplicemente acquisire un po’ più di pratica. Il problema è quando le letture frettolose e i fraintendimenti con il tempo anziché chiarirsi si esasperano sempre di più e i giornali in forma cartacea, anziché approfittare dei loro tempi meno convulsi per cercare di capire bene come stanno le cose, a volte si limitano a fare da cassa di risonanza alle polemiche generate sulla newsletter rendendo eventuali equivoci ancora più dannosi. Dunque è meglio insultasi che ignorarsi? Sì, finché gli insulti derivano da un franco – e magari anche duro – confronto di opinioni. No quando si attaccano le persone e meno ancora quando si attribuiscono loro opinioni che non hanno mai avuto.
Anna Segre, insegnante