La scrittura, compagna di una vita

“Nei prossimi anni ho ancora due calamità da affrontare: la morte e la biografia. Speriamo che la prima arrivi per prima”, dice Philip Roth. Il paradosso si fa ancora più marcato se si considera che il pluripremiato autore americano lo pronuncia proprio nella sua biografia televisiva, Philip Roth: Unmasked. Il documentario, diretto dal regista francese William Karel e dalla giornalista italiana Livia Manera, fa parte della serie “American Masters” del canale televisivo statunitense PBS e andrà in onda stasera, ma è già stato proiettato in anteprima al Film Forum di New York.

Le voci di altri scrittori americani, Nicole Krauss e Jonathan Franzen, della critica Claudia Roth Pierpont, ma anche di amici di lunga data, Mia Farrow, Martin Garbus e Jane Brown Maas, forniscono un ritratto sfaccettato e raffinato di Roth. Ma è soprattutto lo scrittore stesso a farsi contemporaneamente voce narrante e oggetto della narrazione, accompagnando lo spettatore attraverso tutte le fasi della sua vita, scandita dai suoi romanzi. “La gente ha sempre percepito che lui fosse i suoi personaggi”, osserva Nicole Krauss. Perché i personaggi dei romanzi di Roth sono come degli alter ego, attraverso cui “espone parti di se stesso che nessuno aveva mai esposto”, come rileva Franzen, ma che tecnicamente appartengono ai personaggi, che sono dunque delle maschere. Il titolo del film suggerisce che la persona con cui lo spettatore verrà in contatto sará stavolta un Philip Roth “smascherato”.

Che racconta come la vera protagonista della sua vita sia stata proprio la scrittura. La sua vita privata, che è stata instabile e priva di relazioni durature, resta infatti un po’ in ombra. Racconta però molti aneddoti, storie della sua infanzia e della sua brillante carriera, iniziata nel 1959 con la pubblicazione di un racconto sul New Yorker e che da allora con i successivi 31 romanzi non ha mai smesso di fare scalpore. L’autore espone quali siano sempre state le sue passioni e le sue proccupazioni, che in otto decenni non sono cambiate molto: la lettura, la scrittura, il sesso e naturalmente la questione dell’ebraicità continuano a stregarlo. “Non mi fa impazzire l’idea di vedermi descritto come uno scrittore ebreo americano”, dichiara però all’inizio del film.

Per la realizzazione della biografia i registi hanno passato dieci giorni con Roth, infiltrandosi nella sua mite quotidianità di neo-ottantenne e neo-pensionato, sospesa fra New York e la sua casa nel Connecticut, riuscendo a metterlo a suo agio, ma soprattutto facendo godere lo spettatore della compagnia piacevole di un uomo che si rivela affabile e affascinante. Il risultato è uno straordinario saggio di autocritica, uno scavo nelle radici unito a una cronaca di fatiche. La sua voce dipinge in 90 minuti tutte le sfumature del ritratto di un artista, partendo dalle aspirazioni di un giovane scrittore, alla sua celebrità piena di controversie, fino al recentissimo confronto con la morte. Della quale Roth dice di aver paura, ma di non provare rabbia per il suo arrivo. Forse perché in fondo un grande scrittore non è altro che la somma delle maschere che ha dedicato una vita a costruire.

Francesca Matalon – twitter @MatalonF

(29 marzo 2013)