Senza farina
Ogni anno qualche giorno prima di Pesach nella mia famiglia arriva il pomeriggio dei biscotti. Lavandini rigorosamente chiusi (e divieto assoluto di toccarli), tavoli accuratamente ripuliti e asciugati, neanche una goccia d’acqua in giro. Si ripassano le dosi della ricetta di famiglia trasmessa di generazione in generazione. Pronti, via: impastare, riempire una teglia di mucchietti di forma più o meno tonda (i miei sono i più tristemente irregolari), infornare, sfornare, pronta subito un’altra teglia; ogni biscotto nasce in pochissimi minuti; una fretta che fa parte del gioco e delle tradizioni famigliari ma in effetti non sarebbe necessaria visto che i biscotti sono fatti solo con l’olio e non hanno mai visto una goccia d’acqua, di vino o di succo nemmeno da lontano; chissà se la fretta è uno scrupolo oppure deriva da un tempo in cui il vino e il succo si mettevano davvero. Ormai da qualche anno, però, anche la mancanza di acqua è diventata uno scrupolo superfluo perché i biscotti non sono più fatti con la farina (non più disponibile) ma con la matzà pesta. La ricetta famigliare ha subito qualche aggiustamento nelle dosi e dopo qualche esperimento sono nati dei biscotti dal gusto non troppo diverso da quelli fatti con la vera farina. Che ne sarà però delle nostre tradizioni di attenzione? Continueremo a osservarle in ricordo dei tempi in cui si usava la farina? Oppure con il passare degli anni smetteremo a poco a poco di osservarle ma continueremo a ricordare di quando le osservavamo? Finirà come con la salatura casalinga della carne, che fino a non troppi anni fa era un’abitudine regolare e oggi appare come un’usanza antica? Quante regole che noi abbiamo imparato con la pratica in famiglia saranno conosciute dai bambini ebrei del futuro solo attraverso i libri? Le autorità rabbiniche che prendono decisioni a tremila chilometri di distanza sono consapevoli del fatto che a volte per avvicinare le persone alla cultura ebraica le inducono a cancellare o dimenticare tradizioni ebraiche tramandate per secoli?
Anna Segre, insegnante