Israele – Gilad Shalit, il lato umano di un antieroe
Non ci fu eroismo nel giorno in cui Gilad Shalit venne rapito. A svelarlo un articolo del giornalista Ben Caspit sul Jerusalem Post. È passato quasi un anno e mezzo da quando il caporale dell’esercito israeliano sequestrato cinque anni prima da miliziani di Hamas è stato liberato in seguito al rilascio di 1027 detenuti palestinesi, con una decisione assunta dal primo ministro Benjamin Netanyahu che divise il paese. Ma dopo anni di angoscia per le sorti del giovane, il 18 ottobre 2011, il giorno in cui Gilad tornò, l’emozione fu enorme, per tutti. Israele riabbracciava un suo eroe. Negli scorsi giorni i riflettori si sono riaccesi sulla vicenda, e nel modo più inaspettato. Caspit ha riportato il racconto di quello che accadde quel tragico giorno, il 25 giugno 2006, quando Shalit fu rapito e i compagni del suo equipaggio uccisi. Lo ha fatto attraverso le parole dello stesso caporale, come riferite durante l’inchiesta che Tzahal ha aperto per verificare ciò che veramente avvenne. Un resoconto che ha colpito per la dimensione umana che l’intera vicenda assume, perché, ciò che è emerso, è che Gilad (e i suoi compagni con lui) sbagliò, si distrasse, non seguì le regole, ebbe paura. E così fu rapito senza opporre resistenza, senza sparare un colpo.
“La mattina del 25 giugno 2006 era stato ordinato che nelle ore fra oscurità e aurora i quattro membri dell’equipaggio i soldati di guardia lungo il confine con Gaza, tutti svegli, mantenessero lo stato di allerta. C’era il sentore di un attacco terrorista. Invece uno solo dei soldati era sveglio, il guidatore. L’artigliere (Shalit) era al suo posto, il comandante nella torretta e l’altro soldato ai loro posti, ma tutti addormentati. Shalit non conosceva, ha detto, il contenuto dell’allarme, anche se aveva partecipato alle riunioni: ha raccontato agli investigatori che si affidava al suo comandante. Quindi gli erano ignoti gli avvertimenti su un’infiltrazione possibile. Non sapeva neanche che vicino al suo tank c’erano altri soldati (a 200 metri) che avrebbero potuto correre in aiuto. Shalit non aveva fatto attenzione” riferisce Fiamma Nirenstein in un ampio articolo dedicato alla vicenda sul Giornale, in cui riporta i dettagli di quelle drammatiche ore. In cui Shalit, in stato di shock, non sparò con le armi a disposizione nel carro armato, non cercò soccorso da quelli vicini, rimase immobile nel mezzo quando venne leggermente ferito da una granata e infine uscì lasciando il fucile a terra, per essere così condotto via senza alcuna possibilità di resistenza.
“Gilad l’ha raccontata con precisione e sincerità, mostrando un quadro per cui ogni madre può essere sicura che, se per quel soldato imbranato e impaurito è stato pagato quel prezzo, ogni soldato israeliano avrà comunque diritto allo stesso trattamento. Dunque, non c’è stato né eroismo né estremo coraggio, ma solo shock da battaglia: neppure una pallottola è stata sparata nonostante le possibilità che si offrirono di reagire in quel giorno in cui Gilad fu rapito e, degli altri tre che sedevano nel suo Merkava 3, un carro armato di classe, due furono uccisi” scrive Nirenstein, che conclude “Adesso, quel ragazzo per cui Netanyahu compì il passo di lasciar liberi mille pericolosi nemici, è forse un simbolo ancora più splendente di quanto valore dia Israele alla vita, non importa di chi, come, quando…”.
(31 marzo 2013)