Il cielo e la terra

Non c’è dubbio, come è stato sottolineato in molti contesti, e, più volte, anche sulle pagine di questo notiziario quotidiano, che l’elezione di papa Francesco lasci ben sperare sul piano del dialogo interreligioso e, segnatamente, delle relazioni ebraico-cristiane. Pur provando un’istintiva perplessità di fronte al clima di universale, entusiastica agiografia che sempre circonda la persona del Sommo Pontefice, in particolare in occasione della cerimonia dell’elezione, condivido l’unanime sentimento di fiducia e simpatia nei confronti del nuovo Vescovo di Roma. Che egli abbia, infatti, una personale posizione non solo di rispetto, ma anche di particolare vicinanza umana e spirituale verso l’ebraismo – inteso non solo come religione, ma anche come cultura, popolo, comunità – è attestato in modo assai eloquente dalle pagine del libro “Il cielo e la terra” nel quale sono raccolti i dialoghi intercorsi col Rabbino Abraham Skorka, Rettore del Seminario Rabbinico di Buenos Aires. Un volume di alto interesse culturale, nel quale tutti i principali temi dello spirito e della vita moderna – Dio e il diavolo, le religioni e l’ateismo, la vita e la morte, la democrazia e le dittature, la famiglia, il creato, la violenza, la guerra, la pace, la Shoah, fino alle più delicate questioni di bioetica – sono affrontati dai due interlocutori in un confronto aperto e approfondito, sulla base di una sincera amicizia e disposizione all’ascolto. “Dialogare – scrive Bergoglio – significa un’accoglienza cordiale e non una condanna preventiva. Per dialogare bisogna sapere abbassare le difese, aprire le porte di casa e offrire calore umano”. In attesa di tornare più ampiamente sui vari contenuti del volume, quel che preme sottolineare è come da esso trapeli una naturale predisposizione di Bergoglio all’apertura umana e culturale nei confronti delle diverse esperienze spirituali e culturali, verso le quali egli esprime sempre parole improntate a grande rispetto, considerazione e interesse. Ciò vale, certamente, per l’ebraismo, al cui patrimonio sapienziale (non solo veterotestamentario) l’attuale Pontefice mostra di sapere attingere con grande cura e attenzione, ribadendo con forza il valore delle svolta impressa dal Concilio: “la Chiesa riconosce ufficialmente che il popolo di Israele continua a essere depositario delle promesse. Non dice mai: Avete perso la partita, ora tocca a noi”. Ma vale anche per le altre religioni e interpretazioni della vita, compresa la più bistrattata delle “minoranze ideologiche”, ossia la vasta e variegata galassia dei non credenti (considerati, in genere, alla stregua di “diversamente abili” da sorreggere e, possibilmente, curare, al pari dei non vedenti). “Non affronto il rapporto con un ateo – scrive il Cardinale – per fare proselitismo. Lo rispetto e mi mostro per quello che sono”. Parole di grande valore umano, in perfetta corrispondenza con quelle pronunciate dal suo interlocutore, il Rabbino Skorka, secondo il quale sarebbe “da arroganti”, allo stesso modo, tanto affermare quanto negare l’esistenza di Dio. Per Bergoglio, il primato sembra quindi non essere quello dell’affermazione della fede, ma dell’umanità, l’unico valore in nome del quale tutti gli uomini possono essere veramente uguali. Una posizione che è stata da lui confermata anche nelle parole di amicizia e rispetto pronunciate, nella nuova veste pontificale, già in due occasioni ufficiali (l’incontro con i giornalisti e con il corpo diplomatico), nelle quali ha voluto esplicitamente estendere il suo saluto anche ai non credenti. Anche loro, ha detto il papa, sono figli di Dio. Figli di un padre che non riconoscono, e che da loro non pretende, e soprattutto non impone, di essere riconosciuto.

Francesco Lucrezi, storico

(3 aprile 2013)