Noi donne e i porporati

Ho letto con molto interesse su questo numero di Pagine Ebraiche il dialogo tra Anna Foa e Lucetta Scaraffia in merito all’elezione di Papa Francesco, una personalità sicuramente nuova e carica di promesse per il soglio di Pietro. Da femminista non credente, appassionata di spiritualità e religione, mi viene però da chiedere: ma davvero dovremmo restare affascinate, invidiare addirittura, come dice Scaraffia (alla quale peraltro mi legano amicizia e stima), quel corteo di vegliardi, abbigliati come nel Medioevo, tutti inesorabilmente uomini, tutti simboli di un potere maschile che ha escluso le donne per secoli, e continua a escluderle, dalla gestione del sacro e del religioso, che ha deciso per loro cosa era giusto e cosa era sbagliato, che decide ancora del mio destino come donna? No, a me quelle immagini, così vetuste e ripetitive, quei cortei che evocano una storia millenaria dove le donne hanno avuto piccola, e spesso tragica, parte, hanno rinnovato una sorta di ripugnanza, una sfiducia su qualsiasi possibilità di rinnovamento profondo della Chiesa cattolica. Perché sono il simbolo visibile dell’esclusione delle donne e senza le donne io non credo che ci potrà essere mai un vero cambiamento, e questo vale non solo per la chiesa cattolica, ma per tante altre tradizioni religiose. E non bastano gli affreschi di Michelangelo e la sfilata di anziani porporati, né le folle adoranti pronte a dimenticare l’invito all’amore non appena girano l’angolo, a conferire fascino a un rito che mi rimanda simboli così consumati.

Matilde Passa, giornalista

(3 aprile 2013)