Qui Milano – I nomi che non si dimenticano
Al centro delle celebrazioni di Yom HaShoah che si sono svolte a Milano alla Sinagoga centrale, quest’anno piú che mai, solo nomi. Un elenco lungo e solenne, letto dai ragazzi dell’ultimo anno di liceo della Comunità, di nomi lenti, pesanti, duri. Perché sono la sola cosa che resta delle piú di 1600 vittime della Shoah partite per i campi di sterminio dal capoluogo lombardo. A fornirlo come ogni anno la Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano. A organizzare la cerimonia l’Associazione Figli della Shoah, in collaborazione con la Comunità ebraica, i cui saluti sono stati portati dall’assessore alla cultura Daniele Cohen, e l’Ufficio Rabbinico.
A interrompere la lettura dei nomi solo l’accensione di sei candele in memoria dei sei milioni di ebrei morti nella Shoah. Hanno simbolicamente dato vita a queste luci di speranza Salomone Silvera, Liliana Segre, Miriam Linker, Nedo Fiano, sopravvissuti alla Shoah, Hershie Tenembaum e Paola e Micol Morpurgo, figli e nipoti dei sopravvissuti Aron Tenembaum, che si è trasferito in Israele, e l’ingegner Gualtiero Morpurgo, da poco deceduto. “Dobbiamo essere forti”, ha detto Nedo Fiano accompagnato da suo nipote Davide. “Non é mai successo altre volte che fossero uccise sei milioni di persone, e anche chi é tornato porta delle lacerazioni che non passano mai. E’ bello che a ricordare tutto questo siano dei giovani”.
“Quando si leggono tutti questi nomi non si sa nulla di come fossero le persone che li portavano, sono solo nomi” ha osservato Liliana Segre, che ha quindi voluto dare un volto e una personalitá a uno di questi, Violetta Silvera. Una ragazza ventenne incontrata la prima volta nel carcere femminile di Varese e ritrovata poi a San Vittore e sul vagone del treno per Aushwitz, che insieme alla sua famiglia diede conforto a Liliana, rimasta sola. “Era alta, fiera, aveva i capelli neri con delle trecce e gli occhi viola: quando sentirete il suo nome, pensatela cosí e ricordatela”. Come lei, anche Goti Bauer, sopravvissuta ad Auschwitz, ha voluto dare concretezza a un nome in particolare, quello della famiglia Altmann. Fiumani come lei, erano scappati insieme alla famiglia di Goti prima in Romagna e poi verso la Svizzera, ma furono traditi dalle guide che li avevano portati al confine. “Le nostre famiglie furono interamente arrestate. Della famiglia Altmann non resta più nessuno, della mia soltanto io”.
Anche gli studenti delle tre scuole ebraiche di Milano, quella della Comunitá, Merkos e Yosef Tehillot, hanno parlato di nomi, ricordando fra le altre cose la ricorrenza quest’anno del settantesimo anniversario del ghetto di Varsavia, attraverso la lettura di una poesia di Rachel Auerbach, che in una lista musicale e affettuosa rende immortali i nomi di alcuni testimoni di quella tragica vicenda.
“Di queste persone non sappiamo né la data né il luogo di morte, e non c’è nemmeno un sepolcro, perciò non possiamo leggere il Kaddish”, ha sottolineato Tenembaum. “Per questo leggere oggi i loro nomi é l’unico modo che abbiamo di pregare per loro”. Ha concluso con un ultimo discorso il rabbino capo Alfonso Arbib: “Quando parliamo di Shoah siamo davanti a qualcosa di indescrivibile con le parole, è qualcosa che non possiamo spiegare, come osservava rav Soloveitchik, di cui ricorre il ventesimo anniversario dalla scomparsa in questi giorni. Dunque per risolvere questo problema esortava a fare una delle cose più importanti del pensiero ebraico, ovvero trasformare ogni pensiero in azione. Mancando tutti gli elementi tradizionali del lutto, e quindi anche i modi per ricordare queste vittime, rav Soloveitchik ha fatto di se stesso una lapide, costruendola attraverso la sua condotta di vita ebraica. Anche ognuno di noi deve trovare una risposta che comporti l’azione, qualcosa di costruttivo che si contrapponga alla distruzione”.
Francesca Matalon twitter @MatalonF
(8 aprile 2013)