Tea for Two – Laureande disperate (parte seconda)
(Nelle precedenti puntate: Rachel, studentessa leggermente lamentosa e un poco egocentrica, inizia a preparare la sua tesi di laurea in Lettere sullo scrittore triestino Giorgio Voghera, seminando il panico nelle biblioteche della Capitale). Mentre il mondo vorticosamente cambia rimanendo sempre uguale, le campagne elettorali si consumano, Beppe Grillo si dedica ai vaticini e fioccano gravidanze nello star system; le laureande disperate pensano a una sola cosa: la loro tesi. Abbiamo la pretesa di essere le uniche che versano in questa situazione emotivamente delirante, di essere le prime ad affrontare un ostacolo della misura dei giganti dell’Inferno dantesco. Gli incidenti si fanno sentire, in ordine sparso: sono scivolata rovinosamente dalle scale come le scene da film con tanto di pubblico che, mentre mi rialzo con le gote imporporite dalla vergogna, mi dice: “Te stavi proprio ad ammazzà”, ho rotto svariate tazzine da caffè senza un motivo ben preciso, perso oggetti che ancora adesso sono latitanti e fatto scene incomprensibili. Macinando pagine e pagine su Giorgio Voghera sono soddisfatta, poi si insinua in me il germe del malcontento. “Non sto facendo abbastanza, ho scritto una marea di banalità, non sono in grado di formulare parole di senso compiuto in italiano, voglio la mamma, voglio la laurea, voglio la cioccolata.” Queste le frasi che più o meno riassumono mesi di precarietà, lavoro e scartafacci. Il cosmo inizia a dividersi in due categorie: i cattivi e gli Gerione (volto bonario e coda da scorpione, ancora più cattivi), le azioni elementari risultano impraticabili. Ammettiamolo laureanda disperata, sei intrattabile, una vera palla al piede. “Dovete nutrirmi, consolarmi, volermi bene perché mi sto per laureare; coprite gli spigoli perché potrei accidentalmente scontrarmi con ogni mobile.” Ahi lasso, or è stagion de doler tanto. Le letture si esauriscono con il vademecum di Umberto Eco (grazie Umby) e ovunque mi giro tutto parla di Giorgio Voghera, il mio Giorgio Voghera. Tremo al pensiero di non rendergli giustizia, vedo il suo sguardo di muta disapprovazione. Ed arriva il giorno. Quel giorno. Non scappi laureanda disperata: devi laurearti. Allora vai dal parrucchiere e quando esci comincia a piovere e finisci con il sembrare un barboncino. Fai lo sforzo di metterti lo smalto ma poi lo sbertucci per leggere Il mio carso (scrivo in minuscolo come nel testo) di Scipio Slataper in un attacco di ansia da ‘sono una ignorante che non ha letto Scipio Slataper e osa scrivere di Trieste’. Ti vesti e senti che stai compiendo la cosa più simile alle nozze. La giacca è stretta e con ogni probabilità il bottone salterà e cadrà dentro l’occhio del presidente della commissione mettendo in serio pericolo il tuo futuro. Amici e parenti che negli scorsi giorni volevano bidonarti (ho seriamente pensato di noleggiare comparse) arrivano in facoltà e ti guardano fiduciosi. Farai una figura barbina in alta definizione laureanda mia, nonna si renderà conto che non sei intelligente e papà ti inviterà a trovare un’altra strada. Ma dopo attese, partite di calcetto al bar e piedi doloranti da tacchi professional, ci siamo. Inciamperai. Non sono inciampata. Dopo una continua spersonalizzazione e trasformazione in una anonima laureanda disperata, torno ad essere me stessa. Il relatore mi guarda bonario e non ha coda da scorpione. Parla in maniera così delicata della tesi da renderla interessante addirittura ai miei occhi. La commissione sonnecchia con compostezza dopo ore di gente in preda al panico. Tra di loro alcuni dei professori migliori che abbia mai avuto. Per un momento vorrei fare come quando il regista di Titanic, ricevendo l’Oscar, ha gridato: “Sono il re del mondo”, opto però su una uscita di scena frettolosa. Ce l’ho fatta. Mi sono sposata con tre anni di piccole fatiche ed emozioni turbinose. Ora aspettiamo un figlio che chiameremo laurea magistrale in Italianistica, se tutto va bene. Non resta che ringraziare l’ebraismo italiano per darmi continuamente spunti e storie d’amore. E Giorgio Voghera per essere stato uno degli ebrei italiani più commoventi, ironici, intimamente intelligenti di tutti i tempi.
Rachel Silvera, studentessa incallita
(8 aprile 2013)