Omer…

Non è casuale che in questo periodo di transizione dell’Omer che va da Pesach a Shavuòt, contraddistinto da un susseguirsi di momenti di gioia e momenti di lutto, si passa anche da Yom HaShoah a Yom Hatzmaùt a distanza di soli 8 giorni. Una contiguità che rafforza in molti quella coniugazione associativa tra la Shoah e la nascita dello Stato di Israele, talvolta fuorviante e caratterizzata da emozioni e gesti irrazionali. È un tema di dibattito aperto e molto acceso e che per certi aspetti rischia di svalorizzare la portata del grande ideale sionista da parte di coloro (ebrei e non ebrei) che vorrebbero vedere nella realizzazione dello Stato ebraico una sorta di risarcimento e di riscatto alla tragedia della Shoah. È sempre opportuno rammentare pertanto che l’ideale sionista è precedente alla Shoah. In questi giorni, in alcuni siti, sta girando un fotomontaggio con una suggestiva immagine, per metà di deportati ebrei nei campi di sterminio sviliti nel corpo e nello spirito, e per l’altra metà di robusti e rassicuranti giovani soldati dell’esercito israeliano. Il tutto sotto la scritta “Am Israel Chai,” il popolo ebraico vive. Non mi sento di criticare chi, nello sforzo di cercare risposte a un’angoscia che continua a segnare la vita di noi tutti, trova rassicurazione nel messaggio di questo fotomontaggio che sicuramente riflette in parte una consequenzialità temporale e concettuale, ma personalmente è un’operazione che mi provoca inquietudine. Lo Stato di Israele costituisce l’inizio del germoglio della nostra redenzione e in questi 65 ani è riuscito a far rivivere molta di quella Torah e di quella cultura ebraica di cui una immensa parte è andata perduta con la Shoah, ma noi che non siamo né quei prigionieri, né quei soldati del fotomontaggio, in quale fotografia siamo? Quale rappresentazione vogliamo dare di noi?

Roberto Della Rocca, rabbino
(9 aprile 2013)